The Pope delivers the homily during the Chrism Mass. Once again he speaks ill of priests.

Questa mattina, all’interno della Basilica Vaticana, il Sommo Pontefice ha presieduto la Santa Messa Crismale. Questa celebrazione, del tutto peculiare, è l’occasione che il vescovo ha per avere tutti i sacerdoti con sé. Eppure, su quasi 4 mila presbiteri (secolari e religiosi) nella diocesi di Roma, hanno preso parte alla Santa Messa solo 1.500.

Questo dato è emblematico ed esprime chiaramente lo stato d’animo che abita i sacerdoti della diocesi di Roma, ma anche di tutto il mondo, nell’ascoltare, ogni santo giorno, le parole del Papa che “bacchetta” i suoi primi collaboratori. Francesco è il primo Papa che manifesta un vero e proprio odio “per la categoria”. Questo atteggiamento di Bergoglio, fa emergere alcuni problemi irrisolti negli anni passati e lo abbiamo ampiamente spiegato qui.

Un altro anno, un’altra omelia dove pronuncia parole che sono imbarazzanti. La coerenza, poi, non sembra essere un suo problema. Mentre ci parla di clericalismo, sono mesi che il Papa non celebra più l’eucarestia ma vuole essere presente per fare la sua omelia. La Santa Messa, quindi, diviene il palcoscenico del Papa e non più il calvario su cui Cristo viene immolato. 

Un disco rotto

Ogni anno, il Papa pronuncia le stesse e identiche cose. Per la Messa Crismale Francesco sceglie sempre una omelia lunga ma la "solfa" non cambia. Si mescolano un po' le carte ma i discorsi sono sempre quelli: clericalismo, chierici di stato, chiacchiericcio, falsità clericale, ecc...

Tutti temi che Francesco ha sperimentato sulla sua pelle, a quanto pare.

Bergoglio dice: "A questo ci esorta «lo Spirito della verità» (Gv 16,13), che ci smuove a guardarci dentro fino in fondo, a chiederci: la mia realizzazione dipende dalla mia bravura, dal ruolo che ottengo, dai complimenti che ricevo, dalla carriera che faccio, dai superiori o dai collaboratori che ho, dai confort che mi posso garantire, oppure dall’unzione che profuma la mia vita? Fratelli, la maturità sacerdotale passa dallo Spirito Santo, si compie quando Lui diventa il protagonista della nostra vita". 

Ascoltando queste parole, però, ci fermiamo all'interno della Basilica Vaticana e chiudiamo gli occhi. Qui, in queste poche frasi c'è la spiegazione di tutto. Francesco è rancoroso, nel suo cuore c'è la delusione degli anni in cui è stato esiliato dopo essere stato provinciale dei gesuiti in Argentina. In lui è presente la rabbia, lamenta di non essere stato compreso, di essere stato vittima dei giochi di potere, del chiacchiericcio.

Oggi, secondo quella logica, si scaglia contro tutto questo e condanna il carrierismo. Ma cos'è il carrierismo per un prete? Molte volte, soprattutto attorno ai quaranta anni, il presbitero vede nella "carriera", nell'"incarico", nel "raggiungimento di un traguardo", una realizzazione di sé stesso. È inutile fare i puritani e puntare il dito, questa è una condizione umana nella quale tutti siamo incarnati. Giustamente il Papa punta lo sguardo su questioni serie: "la mia realizzazione dipende dalla mia bravura, dal ruolo che ottengo, dai complimenti che ricevo, dalla carriera che faccio, dai superiori o dai collaboratori che ho". Eppure, dimentica che il compito del Vescovo è proprio questo: manifestare la propria paternità spirituale, lodare il prete quando compie il suo ministero con dedizione, quando raggiunge traguardi. In questo modo, senza che il prete cerchi chissà quale encomio, viene comunque confortato nel suo ministero. 

Il discorso del Papa contraddice tutto quanto ci ha detto in questi anni sull'umanità dei ministri. Proprio per evitare il "clericalismo" (del quale ancora non si capisce una definizione seria), bisogna comprendere che il sacerdote non è un Dio. Certo, è un alter Christus e agisce in persona Christi ma è umano e necessità dell'amore del proprio presbiterio, dell'affetto dei propri fedeli e della riconoscenza della Chiesa. Quindi, è un'ottima aspirazione quella di far tutto a gloria di Dio senza aspettarsi nulla in cambio, ma se la Chiesa cammina in gruppo è proprio perchè senza quell'aspetto umano non si andrà da nessuna parte.

Sì, gli Apostoli hanno lasciato tutto ma quando erano con Gesù, lui li consolava, li confortava. Addirittura ci ha lasciato il suo Spirito, il consolatore. Pensiamo a Pietro e agli altri apostoli. Quante volte quest'uomo, descritto rude ma dal cuore grande, avrà detto agli altri: "Grazie!"

Esemplarità della vita

“Penso anche alla gentilezza del sacerdote: se la gente trova persino in noi persone insoddisfatte e scontente che criticano e puntano il dito, dove vedrà l’armonia?”, dice Francesco. Se guardiamo a questi dieci anni, se guardiamo agli ultimi 100 anni, Bergoglio è il Papa che ha creato più divisione nella Chiesa.

Molte volte abbiamo difficoltà a far comprendere alle persone che il Papa va amato, nonostante tutto. Allo stesso tempo non si può tacere di contestare alcune affermazioni come quella, ripetuta anche oggi, di “dover perdonare tutto e di non negare mai l’assoluzione”. Non solo, se oggi nel presbiterio ci sono persone “insoddisfatte e scontente” è propria a causa delle numerose affermazioni di Francesco che mettono in cattiva luce i preti. La maggior parte delle volte, peraltro, sono cose false che non possono essere pronunciate in una omelia. Bergoglio lo sa, la gente è abituata a focalizzarsi su determinate parole e se le pronuncia il Papa questo rischio diviene certezza. Pensiamo a quei giornalisti, incapaci di formulare una frase di senso compiuto, che di un discorso ampio come quello odierno, chiaramente twittano solo e soltanto le frasi contro i preti. Ma il Papa lo sa, non è la vittima del sistema ma ne è uno degli alimentatori.

Un’altra delle parti preferite di Francesco è quella sul chiacchiericcio. Anche questo tema è stato riproposto a go go. Mentre però, il Papa, si scaglia contro il chiacchiericcio, è il primo ad alimentarlo nei corridoi della residenza Santa Marta. Bergoglio ama creare divisione – divide et impera – e quando riceve i preti, sopratutto, chiede di “tizio e caio” per poter sapere, utilizzare le informazioni, indagare e quant’altro. Nella sua diocesi questo è stato evidente. Prima ha ricevuto don Pierangelo Pedretti con don Renato Tarantelli e ha fatto si che si insultassero davanti a lui a Santa Marta. Poi ha utilizzato quei litigi per esacerbare i dissidi. Tarantelli ha iniziato la sua opera di convincimento nei confronti di Francesco, facendogli credere che tutto il Vicariato era corrotto e lui era l’unico sano. In questo modo, spalleggiato da un altro con il carattere fumino, Daniele Libanori, hanno portato il Pontefice ad approvare la Costituzione Apostolica In Ecclesiarum Communione.

Nonostante il Papa abbia recentemente riferito ai giovani di non utilizzare lo smartphone, Tarantelli si aggira per il Vicariato dicendo che “chatta con il Papa su whatsapp”. Da Santa Marta smentiscono, ma chiaramente questo evidenzia un problema serio delle persone che Francesco lascia accedere alla Domus grazie alle intercessioni di Fabio Salerno.  Un’altra considerazione sarebbe da farsi in merito a coloro che, dopo aver fallito nella loro vita professionale, vengono a bussare alle porte dei nostri seminari perché così hanno lo stipendio assicurato, ma non è questa la sede.

Parla dei preti zitelloni, Francesco. Eppure, sembra che siano proprio questi i suoi preferiti. Sinceramente, non sappiamo come il Papa viva la sua vita sacerdotale (e neppure vogliamo saperlo) ma il nostro celibato lo viviamo benissimo e non ci sentiamo affatto zitelloni. I zitelloni, forse, sono quei preti che accedono a Santa Marta scontenti e riferiscono al Papa che tutti sono “brutti e cattivi” e loro sono i migliori. Zitelloni, forse, sono quei cardinali mafiosetti, di cui ama circondarsi, che fanno le guerre ai presbiteri in curia.

Il Papa, però, questa mattina parla anche di armonia. Forse dimentica che è proprio grazie al “chiacchiericcio” e grazie alla “non armonia” che lui sta operando all’interno della diocesi di cui ama definirsi vescovo. Il Consiglio Episcopale lo ha completamente spaccato e se non si decide a spedire qualche testa calda in Azerbaigian, le cose non miglioreranno affatto. 

Che dire, sono finiti i tempi in cui il Papa si rivolgeva ai presbiteri con queste parole: “Cari amici, vorrei brevemente toccare ancora due parole-chiave della rinnovazione delle promesse sacerdotali, che dovrebbero indurci a riflettere in quest’ora della Chiesa e della nostra vita personale. C’è innanzitutto il ricordo del fatto che siamo – come si esprime Paolo – “amministratori dei misteri di Dio” (1Cor 4,1) e che ci spetta il ministero dell’insegnamento, il (munus docendi), che è una parte di tale amministrazione dei misteri di Dio, in cui Egli ci mostra il suo volto e il suo cuore, per donarci se stesso”. 

Non ci resta che pregare: “Usquequo, Domine, oblivisceris me in finem?”

d.P.A.

Silere non possum