Mauro Gambetti also puts his hand on the legacy of the recently deceased Canon Michele Basso.

Se c’è una cosa che contraddistingue il giornalismo serio da quello vile e codardo, è proprio quello che riguarda gli articoli su “sora morte”. Quando ci si trova di fronte ad un articolo che offende la dignità, addirittura, di un morto, significa che quella penna è veramente scadente. È proprio questo il caso. Stiamo parlando della vicenda del Rev.mo Canonico Monsignor Michele Basso. 

Il sacerdote, recentemente scomparso, è stato oggetto di attenzione mediatica per via delle numerose opere d’arte che possedeva. Ma facciamo un po’ di storia.

Qualcuno si chiederà: “Ed ora che c’entra Gambetti in questa storia?” Ve lo spieghiamo subito.

Quando a maggio Silere non possum ha iniziato a denunciare le attività di Mauro Gambetti e del suo team ultra pagato, una giornalista vaticanista, un po’ piena di sé e gelosa dell’operato dei suoi colleghi, si è recata in udienza nel nuovissimo ufficio dell’Arciprete della Basilica di San Pietro dove sono stati spesi migliaia di euro per assecondare i vizi del momento. Cosa si siano detti i due interlocutori, non è dato saperlo, ma è un caso che nei suoi articoli non sono mai emerse critiche alla gestione di Mauro Gambetti? Può essere. Alla morte del canonico Basso, questa giornalista, che si definisce cattolica, scrive: “Era riverso sul letto, privo di vita, in pigiama, con i piedi a penzoloni”, un racconto alquanto macabro che evitiamo di commentare. L’articolo, come consuetudine per la “professionista”, era volto a gettare ombra sul “tesoro” del presbitero e non certo un testo di lode per la sua vita. 

Questo deve far comprendere, reverendissimi ed eccellentissimi fratelli, chi ci siamo portati in casa sino ad oggi e a chi abbiamo concesso interviste e notizie. A buon intenditor, poche parole.

La vicenda di Basso

Nessuno di questi sapienti cronisti ha speso una parola per la vita di quest’uomo che ha servito la Chiesa e questo Stato. Chissà come mai, poi, gli avvoltoi escono quando le persone muoiono. Anche qui, come ha denunciato ieri il nostro direttore nel suo editoriale, emerge come “una chiacchiera” riesca a far fuori la gente in modo semplice e veloce. I processi, le accuse e le contestazioni, si fanno ai vivi, non ai morti.

La travagliata storia di queste opere d’arte ha inizio quando il Reverendo decise di dare delle sue opere al Museo del tesoro di San Pietro. Sì, lo stesso museo dove Monsignor Orazio Pepe mise i libretti Mons. Rezza. Senza chiedergli il permesso. Ricordiamo cosa dice il Pontefice regnante nei riguardi degli anziani: «i vecchi non ci riguardano – pensano – ed è opportuno che stiano il più lontano possibile, magari insieme tra loro, in strutture che se ne prendano cura e ci preservino dal farci carico dei loro affanni. È la “cultura dello scarto”».

Le parole, però, sono volte a colpire le masse, i fatti, invece, attirano l’attenzione del Giudice ultimo. Nella Fabbrica di San Pietro e a Santa Marta, sin da subito, c’è stato comune sentire in merito ai “vecchi canonici”Basti pensare a quando Bergoglio chiese al Cardinale Angelo Comastri: “Ma quanto guadagnano i canonici?” Il Papa aveva interesse a metter naso anche nel portafogli dei Canonici di San Pietro. Una scena di quelle che non si sono mai viste nella storia della Chiesa.

Basso, quindi, si rese disponibile per far esporre le sue opere al Tesoro. Di opera, però, ne fu esposta solo una e il monsignore, non essendo soddisfatto, scelse di riprendere le sue cose e rimettersele in casa.

Ad un certo punto, essendo ancora Arciprete della Basilica il Cardinale Angelo Comastri, il canonico decise di offrire in dono le sue opere alla Fabbrica di San Pietro che aveva servito.

L’eminentissimo Cardinale Arciprete, come era prassi (nell’ottica della trasparenza, a differenza di oggi), scrisse una lettera al Sostituto della Segreteria di Stato chiedendo lumi sul da farsi. La Segreteria di Stato rispose: “non accetti il dono ma trattenga le opere presso di sé”. Una formula sui generis, che chiaramente voleva salvare “capra e cavoli”. 

All’arrivo del poverello e francescanissimo frate francescano di Assisi, Mauro Gambetti, la questione si avvelenò ancor di più. Il cardinale Gambetti, infatti, guarda caso, ebbe problemi anche con il canonico Michele Basso. Sono tutti pazzi in Vaticano, eh.

Vista la formula utilizzata dalla Segreteria di Stato, il canonico fece leva sul fatto che il dono “in realtà fu rifiutato”. Considerato che le opere, quindi, erano ancora del monsignore, lo stesso ne ha chiesto la restituzione. 

Da quale momento, il cardinale Mauro Gambetti non ha più rivolto la parola all’anziano sacerdote. Un porporato ha detto: “sorella povertà, qui, l’abbiamo abbandonata sul tragitto di sola andata da Assisi”.

Se sorella povertà si è fatta desiderare, sora morte corporale, però, è giunta alla porta dell’appartamento del Canonico. Il sacerdote, infatti, è venuto a mancare a causa di un arresto cardiaco a gennaio 2023.

Mauro Gambetti e quella "smania di metter mano su tutto"

“La smania a metter mano su tutto”. Nei mesi scorsi, un prelato di Curia aveva commentato così l’operato di Mauro Gambetti. Ed effetti, anche in questa vicenda il francescano è spuntato come un fungo.

Appena saputo della morte del presbitero, Gambetti si è presentato in appartamento dove ha trovato l’esecutore testamentario ed erede universale di Basso. Al signore, il porporato ha chiesto le chiavi dell’appartamento del canonico.

Bisogna necessariamente fare due chiarimenti: il Cardinale Arciprete della Basilica di San Pietro è anche vicario generale di Sua Santità per lo Stato della Città del Vaticano. Ovvero, Gambetti è vicario in sacris non certo per quanto riguarda queste questioni. Di queste, infatti, è competente il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano.

L’esecutore testamentario, infatti, diede le chiavi al Cardinale ma scese immediatamente e andò presso gli Uffici del Corpo della Gendarmeria consegnando il secondo mazzo di chiavi e riferendo che, “se venisse a mancare qualcosa, la responsabilità sarà del Cardinale Arciprete“. 

Ma questi sono i cardinali e i vescovi creati da Francesco, amministratori non pastori. Ingegneri non teologi. Interessati a queste questioni economiche, non certo ad attirare i fedeli a Cristo. Basti pensare alla benedizione degli animali durante la festa di Sant’Antonio Abate, alla quale ha partecipato pochissima gente. 

Nella Basilica di San Pietro, infatti, si sono ridotte le Sante Messe ma sono aumentati a dismisura gli eventi privati, i vip con tour privati e quant’altro. La preghiera è l’ultimo pensiero di Gambetti e di Orazio Pepe. I pranzi e le cene con i manager, però, trovano sempre grande spazio in agenda. Anche le passeggiate attorno a San Pietro con cappelli abbastanza risibili. 

Dopo questo gesto dell’erede, la Gendarmeria ha apposto i sigilli all’appartamento del Monsignore e l’esecutore testamentario è rimasto in attesa del decreto di pubblicazione del testamento, da parte del Governatorato.

Sbuca anche Alessandro Diddi

Dopo aver ricevuto "una bella legnata" anche dal Giudice per le indagini prelimari della Repubblica Italiana, Alessandro Diddi "sbuca" anche nella vicenda di Michele Basso. Si faccia attenzione, Alessandro Diddi è il medesimo Promotore di Giustizia (completamente ignorante di Diritto Vaticano e Canonico) che ha ordinatol'irruzione contra legem della Gendarmeria e dei Finanzieri nelle sedi della Vox Mundi di Elio Epifani. La società è stata oggetto di forti pressioni da parte di Mauro Gambetti.

Alessando Diddi è divenuto l'argomento da salotto di cardinali e vescovi all'interno di questo Stato. Tutti si chiedono: "Riuscirà a portare a compimento un procedimento?" In Italia è stato anche definito un principe del foro ma da quanto emerge dall'Ordinanza 1267/2022 del GIP di Milano, Luca Milani, ci poniamo diversi interrogativi anche su questo. Nel processo Sloane Avenue, anche questo un grande flop, Diddi continua a riferire di aver aperto procedimenti in merito a qualunque cosa. Dei loro esiti, però, nessuna notizia.

Ci riferiamo all'ordinanza che ha dichiarato illegittimo il sequestro del cellulare dell'imputata, nel processo Sloane Avenue, Cecilia Marogna. Il giudice italiano scrive: "l’Autorità rogante aveva invocato la “consegna” del telefonino, senza chiedere espressamente il “sequestro” del medesimo". In sostanza, il giudice sta dicendo che Alessandro Diddi non ha ben chiara la differenza fra sequestro e consegna. "Annamo bene", ha detto un vescovo canonista qui all'interno delle mura, "se prima contestavamo la conoscenza del diritto canonico e vaticano da parte di quest'uomo, ora abbiamo tutto chiaro".

Ed effettivamente, per un professore di diritto procedural penale queste questioni dovrebbero essere il "pane quotidiano", ma, a quanto pare, al Papa non importa che, anche e sopratutto come Stato, stiamo facendo la figura degli idioti. Difatti, molti dimenticano che Jorge Mario Bergoglio, Alessandro Diddi, Oscar Maradiaga e tutte le singole personalità, passeranno e saranno dimenticate ma il grave danno resta in capo a questo Stato e alla Santa Chiesa di Dio che viene spesso assimilata ad esso.

Il giudice continua: “Appare del tutto evidente come la richiesta di consegna del telefonino appartenente a Marogna Cecilia, inoltrata dall’Autorità giudiziaria vaticana alla magistratura italiana tramite lo strumento della rogatoria internazionale, si sia fondata su un presupposto rivelatosi poi insussistente, ovvero su un sequestro asseritamente legittimo”. 

Poi la considerazione in merito all’operato del Pubblico Ministero milanese: “Il fatto che il P.M. presso la Procura della Repubblica di Milano, allo scopo di rispondere all’originaria richiesta di assistenza, abbia deciso – pur dopo aver richiesto legittimamente alla Corte di Appello, Sez. V, di ordinare la consegna del bene, allorquando lo stesso era ancora assoggettato a vincolo reale nel contesto della procedura di estradizione – di disporre autonomamente il sequestro probatorio del telefonino, costituisce opzione indubbiamente solerte e collaborativa sul piano dei rapporti con l’autorità giudiziaria straniera, ma priva di adeguato supporto normativo, ai sensi degli artt. 724 ss. c.p.p.”.

In sostanza, Diddì non ha saputo chiedere ciò che voleva, il P.M. lo ha assecondato per via del fatto che la richiesta arrivava dal Vaticano. E lo Stato del Papa “ci fa la figura da gelataio” (con tutto il rispetto per i gelatai, peraltro, che sono molto più preparati di certa gente).

Anche nella vicenda del Canonico Mons. Michele Basso, Diddì è intervenuto, quindi, ed ha rotto i sigilli e fatto cambiare la serratura dell’abitazione. Ora, non possiamo non evidenziare come le “grandi inchieste” di questo Promotore si stiano tutte schiantando contro un muro. L’ingresso a gamba tesa dentro la Fabbrica di San Pietro si era chiuso con un nulla di fatto. Addirittura, il Papa umiliò il Cardinale Angelo Comastri facendolo passare per un ladro e dando pubblicità a quel commissariamento. Quando Diddì rimase a mani vuote e non trovò nulla di penalmente rilevante, il Cardinale Comastri si rivolse al Santo Padre dicendogli: “Posso convocare la stampa, almeno ora, e spiegare che è tutto pulito?”Il Papa glielo vietò categoricamente. Anche qui, emerge l’abuso di coscienza, proprio come fece con Enzo Bianchi , con il Cardinale Becciu e con tutti coloro che ha “silurato”. Padre Dysmas de Lassus lo scrive chiaramente: quando un superiore si sostituisce addirittura a Dio e giustifica i propri abusi con le “prove spirituali”, si è giunti all’apice dell’abuso.

Francesco la chiama “la croce”, dimenticando che lui non è Cristo ma il suo Vicario.

R.I.

Silere non possum