Nella diocesi di Fabriano-Metallica, il parroco ospita alcuni partecipanti ad una conferenza e il vescovo lo rimuove.  Cosa dice il diritto canonico? 

I fatti

Il 07 novembre 2021 nella parrocchia di San Sebastiano martire, frazione di Marischio, nella diocesi di Fabriano-Metallica, è stata ospitata una conferenza tenuta dal noto ginecologo Roberto Petrella.

Il parroco, don Gino Pierosara, ha messo a disposizione i locali della parrocchia a questo ex ginecologo, radiato dall'ordine dei medici nell'anno 2019.

Lo stesso ex medico, ha riferito, in un video diffuso sulla rete: «100 presenti, solo 2 con la mascherina». 

Il 12 novembre 2021, a distanza di soli 5 giorni, il vescovo Mons. Francesco Massara, ha divulgato un comunicato nel quale annunciava la rimozione del parroco dal suo ufficio. 

 

Alcune considerazioni

Il vescovo parla di "una grave infrazione delle disposizioni e delle norme da rispettare nei luoghi di culto e parrocchiali."

È bene rammentare che né l'autorità ecclesiastica universale né quella locale hanno mai emanato delle norme con effetto cogente in merito alla pandemia da Covid-19. Anche le disposizioni contenute nel protocollo 0004830 07/05/2020 fra Ministero dell'Interno e Conferenza Episcopale Italiana ha come unico soggetto autorizzato ad effettuare operazioni di polizia, le forze dell'ordine della Repubblica Italiana. Le stesse, è bene ricordare, possono irrogare una sanzione solo dopo aver accertato l'infrazione sul luogo e nel momento, non a posteriori.

Inoltre, Mons. Massara, per supportare la sua tesi, parla di un video diffuso dall'ex medico nel quale lui afferma quanto abbiamo detto sopra. Non si tratta pertanto di un video che riprende i presenti ma di affermazioni fatte da un soggetto, sulla cui credibilità ci si riserva alquanto. 

Infine, è mio dovere rammentare che il sacerdote non ha ricevuto alcuna scomunica, come falsamente riferito da Cristina Accardi de Il Quotidiano del Lazio.

Difatti non vi sono i presupposti per applicare tale pena, la quale è molto grave. 

 

Quali i provvedimenti adottati? 

Il sacerdote, a quanto si apprende leggendo il decreto del 12 novembre 2021, resta canonico del capitolo della Cattedrale ed esorcista. 

Il decreto adottato dall'ordinario lo rimuove quale parroco della PARROCCHIA DI S. SEBASTIANO MARTIRE IN MARISCHIO e dalla PARROCCHIA DI S.MICHELE ARCANGELO IN VARANO. 

Pongo alcuni quesiti, non avendo conoscenza dei singoli atti. 

 

Cosa dice il diritto canonico? 

Fatte tali premesse, è necessario rammentare che la rimozione del parroco (1740 CJC) è un provvedimento che può essere adottato solo dopo aver verificato con certezza alcune questioni. 

Innanzitutto il Vescovo deve appurare che il ministero sia divenuto "nocivo o almeno inefficace". 

Preso atto di questo, deve esortare il parroco a cambiare e ravvedersi o a far si che quelle problematiche vengano risolte. Nel diritto canonico ogni provvedimento deve essere adottato per il supremo bene delle anime e non può essere quindi solo sanzionatorio. 

Il procedimento deve seguire una fase di raccolta della documentazione.

L'ordinario del luogo deve quindi appurare di avere a disposizione tutti gli elementi per addivenire alla verità e far seguire la rimozione.

Secondo il principio «quod abundat non vitiat», il vescovo può ricevere qualsiasi testimonianza, prova o dichiarazione che lo possa aiutare nella decisione. Possono essere diverse le esortazioni, consultazioni, rilevazioni condotte dal vescovo o da altri, senza danno per la procedura formale che seguirà.

Il vescovo, «indicati per la validità la causa e gli argomenti», deve invitare il parroco alla rinuncia (can. 1742 § 1).

Il punto più delicato attiene al vincolo di indicare «la causa e gli argomenti» per la rimozione. Molto spessi ci troviamo innanzi a vescovi che hanno paura di dire le vere cause per cui agiscono in questo modo. Rammento , che questa clausola è munita della sanzione di invalidità («ad validitatem»).

La giurisprudenza ribadisce che la causa non può essere quella generica, di cui al can. 1740, ma concreta, come quelle esemplificate nel can. 1741 CJC.

L'ordinario deve invitare il parroco alla rinuncia, di tale invito dovrà potersene dare prova in foro esterno.

Il parroco che riceve l'invito a rinunciare potrà reagire in tre modi: rinuncia, silenzio, contestazione.

Se il parroco rinuncia, la procedura termina, come previsto dal can. 1743 CJC.

La rinuncia dovrà essere accettata ad normam iuris (cf cann. 187-189 CJC).

Se il parroco «non risponde», si invita nuovamente alla rinuncia.

Se ancora «non risponde», si può emanare il decreto di rimozione (can. 1744 CJC).

Quando si dice che il parroco non risponde si intendono il silenzio e l'inerzia ma anche il rifiuto espresso, ma del tutto immotivato («nullis adductis motivis»: can. 1744 § 2 CJC).

Il vescovo deve tenere conto del fatto che il decreto di rimozione non può essere emanato se è a conoscenza di qualche impedimento del parroco a rispondere.

Se il parroco «risponde», la procedura continua (can. 1745 CJC).

Il vescovo «per agire validamente lo inviti a raccogliere in una relazione scritta, dopo aver esaminato gli atti, le sue impugnazioni, anzi ad addurre le prove in contrario» (can. 1745 § 1)

In questa fase è assolutamente necessario, al fine di garantire i diritti fondamentali, la inspectio actorum da parte del parroco (Can. 1598 - §1.) Tutte le motivazioni adottate per venire meno a questo obbligo sono assolutamente da ritenersi insignificanti. Il presbitero, come qualsiasi fedele, deve avere la possibilità di conoscere le motivazioni della sua accusa e di tutto ciò che viene posto a fondamento di un possibile provvedimento che vada a ledere la sua dignità di persona e di ministro sacro. 

Se dall'istruttoria svolta è risultato esservi la causa di cui nel can. 1740, il Vescovo discuta la cosa con due parroci scelti dal gruppo a ciò stabilmente costituito dal consiglio presbiterale, su proposta del Vescovo; che se poi ritenga si debba addivenire alla rimozione, indicati per la validità la causa e gli argomenti, convinca paternamente il parroco a rinunziare entro quindici giorni.

Can. 1742 - §1.

L'emissione del decreto

Il vescovo completi l'istruttoria, se necessario, ascolti i due parroci e, se del caso, emetta il decreto di rimozione.

È poi necessario che il decreto di rimozione sia scritto (cf cann. 37, 51, 193 § 4), motivato (cf can. 51) ed intimato (cf cann. 54  § 2, 56)

La motivazione, ancorché sommaria, è richiesta per la validità, come affermato più volte dalla giurisprudenza.

Infine, si ricorda che il ricorso avverso tale provvedimento è possibile ed ha effetto parzialmente sospensivo. Pertanto, l'ordinario non potrà nominare validamente un nuovo parroco dal momento della rimostranza fino alla conclusione del processo innanzi al Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. 

Il parroco potrà pertanto, come primo atto, inviare all'ordinario una remonstratio, ovvero la richiesta di revoca o correzione del provvedimento entro dieci giorni dal ricevimento del decreto ( Can. 1734 CJC). 

In merito alla vicenda

Non si ravvedono nel caso di specie motivi gravi per la rimozione del parroco. Il sacerdote, all'età di 73 anni, non ha commesso alcun grave atto e nella situazione venutasi a creare non si ravvedono i cinque casi indicativamente elencati dal diritto canonico al Can. 1741 CJC. 

Si ricordi, infine, che il principio con cui vanno lette tutte le norme deve sempre essere la "salus animarum, quae in Ecclesia suprema semper lex esse debet".

Questo principio trae origine dalla Prima lettera di Pietro: "Quem cum non videritis, diligitis; in quem nunc non videntes, credentes autem, exsultatis laetitia inenarrabili et glorificata, reportantes finem fidei vestrae salutem animarum."

Anche il Sommo Pontefice Paolo VI diceva ai partecipanti al II congresso internazionale di diritto canonico: "[...] i diritti e i doveri nella Chiesa hanno un'indole soprannaturale: se la Chiesa è un disegno divino - Ecclesia de Trinitate - le sue istituzioni, pur perfettibili, devono essere stabilite al fine di comunicare la grazia divina e favorire, secondo i doni e la missione di ciascuno, il bene dei fedeli, scopo essenziale della Chiesa. Tale scopo sociale, la salvezza delle anime, la «salus animarum», resta lo scopo supremo delle istituzioni, del diritto, delle leggi.

Come sempre, quindi, si invitano i vescovi alla vera misericordia che trae origine dall'insegnamento evangelico e non ad applicare provvedimenti per accontentare il popolo desideroso di brandelli di carne da sbranare. 

F.P.

Silere non possum