The full transcript of Pope Francis' press conference on his return flight from Hungary

È terminato con l’incontro con i rappresentati della cultura e dell’università, il 41° Viaggio Apostolico Internazionale di Sua Santità Francesco.

Francesco, nella Facoltà di Informatica e Scienze Bioniche dell’Università Cattolica “Péter Pázmány”, si è chiesto: «La vita può rimanere vivente? È una questione che, specialmente in questo luogo, dove si approfondiscono l’informatica e le “scienze bioniche”, è bene porsi. Pensiamo alla mancanza di limiti, alla logica del “si può fare dunque è lecito”. Pensiamo anche alla volontà di mettere al centro di tutto non la persona e le sue relazioni, ma l’individuo centrato sui propri bisogni, avido di guadagnare e vorace di afferrare la realtà. E pensiamo di conseguenza all’erosione dei legami comunitari, per cui la solitudine e la paura, da condizioni esistenziali, paiono tramutarsi in condizioni sociali».

Lasciando Budapest, il Papa ha scritto alla Presidente ungherese“nel lasciare l’Ungheria a conclusione del mio viaggio apostolico, esprimo ancora una volta la mia più sentita gratitudine a sua eccellenza, alle autorità civili e a tutti i suoi concittadini per la calorosa accoglienza e la gentile ospitalità. con la rinnovata assicurazione delle mie preghiere, invoco sulla nazione le benedizioni di dio onnipotente per l’unità, la fraternità e la pace”. 

Il Pontefice è risultato in forma. Si trattava del primo viaggio a seguito dell’infarto che lo ha costretto ad un ricovero urgente presso il policlinico Gemelli. Francesco è tornato sull’evento, parlando con i giornalisti, e ha detto: “Quello che ho avuto è stato un malore forte alla fine dell’udienza del mercoledì, non me la sono sentita di pranzare, mi sono coricato un po’, non ho perso conoscenza, ma sì c’era una febbre molto alta e alle tre del pomeriggio il medico subito mi ha portato in ospedale. Ho avuto una polmonite acuta forte, nella parte bassa del polmone, grazie a Dio posso raccontarlo, a tal punto che l’organismo, il corpo, ha risposto bene. Grazie a Dio. Questo è quello che ho avuto”. Francesco si è contraddetto, affermando che in realtà non aveva perso i sensi. A Michele Ferri, amico del Papa di origini pesaresi, invece, Bergoglio disse: “Sono arrivato incosciente in ospedale, poche ore in più e chissà se la raccontavo”. 

I tre giorni in Ungheria, però, non sono stati particolarmente difficili e Bergoglio ha affrontato molto bene le incombenze dell’occasione.

Come di consueta, rientrando a Roma, il Pontefice ha lasciato spazio alle domande.

S.I.

Silere non possum

 

Qual è la sua esperienza personale degli incontri in Ungheria?

Io ho vissuto questa prima esperienza di incontro nel ‘60. Quando tanti gesuiti ungheresi erano stati cacciati via dal loro Paese. Poi sono arrivate delle scuole …. una scuola a venti chilometri da Buenos Aires e io la visitavo due volte al mese. Poi avevo rapporti anche con una società di laici ungheresi che lavoravano a Buenos Aires. Non capivo l’idioma. Ma due parole le ho capite bene: Gulash e Tokai. È stata una bella esperienza. Mi ha colpito tanto il dolore per il fatto di essere rifugiati e di non potere tornare a casa. Le suore di Massimiliano Maria Kolbe sono rimaste lì, nascoste in appartamenti perché il regime non le cacciasse. Poi ho saputo più da vicino tutta la vicenda per convincere il cardinal Mindszenty ad arrivare a Roma. E anche ho vissuto l’entusiasmo breve del ‘56 e poi la delusione.

È cambiata la sua opinione da allora?

Non è cambiata; si è arricchita. Nel senso che gli ungheresi che ho conosciuto hanno una grande cultura….

Che lingua parlavate?

Parlavano normalmente tedesco o inglese. L’ungherese non si parla fuori dall’Ungheria. Solo in Paradiso perché dicono che ci vuole un’eternità per impararlo.

Santo Padre, Lei ha lanciato un appello ad aprire – a ri-aprire – le porte del nostro egoismo ai poveri, ai migranti, a chi non è in regola. Nel suo incontro con il premier ungherese Orbán, gli ha chiesto di riaprire le frontiere della rotta balcanica che lui ha chiuso? Poi, nei giorni scorsi ha incontrato anche il metropolita Hilarion: Hilarion e lo stesso Orbán possono diventare canali di apertura verso Mosca per accelerare un processo di pace per l’Ucraina, o rendere possibile un incontro tra Lei e il presidente Putin? Grazie.

Credo che la pace si faccia sempre aprendo canali, mai si può fare una pace con la chiusura. Invito tutti ad aprire rapporti, canali di amicizia … Questo non è facile. Lo stesso discorso che ho fatto in genere, l’ho fatto con Orbán e l’ho fatto un po’ dappertutto. Sulle migrazioni: credo che sia un problema che l’Europa deve prendere in mano, perché sono cinque i Paesi che soffrono di più: Cipro, Grecia, Malta, Italia, Spagna, perché sono i Paesi mediterranei e sbarca lì la maggioranza. E se l’Europa non si fa carico di questo, di una distribuzione equa dei migranti, il problema sarà di questi Paesi soltanto. Credo che l’Europa debba far sentire che è Unione Europea anche davanti a questo. C’è un altro problema che è collegato alla migrazione, ed è l’indice di natalità. Ci sono Paesi come l’Italia e la Spagna che hanno … non si fanno figli. Ultimamente … l’anno scorso io ho parlato in un incontro delle famiglie su questo e ultimamente ho visto che anche il governo e altri governi ne parlano. La media di età in Italia è di 46 anni, per la Spagna è più alta ancora e ci sono piccoli villaggi deserti. Un programma migratorio, ma ben portato avanti con il modello che alcuni Paesi hanno avuto con la migrazione – penso per esempio alla Svezia nel tempo delle dittature latinoamericane – può aiutare anche questi Paesi che hanno una bassa percentuale di nascite.

Poi, alla fine, qual era l’ultima? Ah, sì, Hilarion: Hilarion è una persona che io rispetto tanto, e abbiamo sempre avuto un bel rapporto. E lui ha avuto la cortesia di venire a trovarmi, poi è stato alla Messa e l’ho visto anche qui, all’aeroporto. Hilarion è una persona intelligente con la quale si può parlare, e questi rapporti è necessario mantenerli, perché se parliamo di ecumenismo – questo mi piace, questo non mi piace … dobbiamo avere la mano tesa con tutti, anche ricevere la [loro] mano. Con il patriarca Kirill ho parlato una sola volta dal momento che è iniziata la guerra, 40 minuti via zoom, poi tramite Anthony, che è al posto di Hilarion, adesso, che viene a trovarmi: è un vescovo che è stato parroco a Roma e conosce bene l’ambiente, e sempre tramite lui sono in collegamento con Kirill. C’è sospeso l’incontro che noi dovevamo avere a Gerusalemme a luglio o giugno dell’anno scorso, ma per la guerra si è sospeso: quello si dovrà fare. E poi, con i russi ho un rapporto buono con l’ambasciatore che adesso lascia, ambasciatore da sette anni in Vaticano, è un uomo grande, un uomo comme il faut. Una persona seria, colta, molto equilibrato. Il rapporto con i russi principalmente è con questo ambasciatore. Non so se ho detto tutto. Era questo? O mi sono mangiato qualcosa?

Se potevano in qualche modo Hilarion e anche Orbán accelerare il processo di pace in Ucraina e anche rendere possibile un incontro tra Lei e Putin, se possono fare – tra virgolette – da intermediari?

Lei si immagina che in questo incontro non solo abbiamo parlato di Cappuccetto Rosso, no? abbiamo parlato di tutte queste cose. Si parla di questo perché a tutti interessa la strada della pace. Io sono disposto. Sono disposto a fare tutto quello che si deve fare. Anche, adesso è in corso una missione, ma ancora non è pubblica. Vediamo come … Quando sarà pubblica la dirò.

La prossima tappa è Lisbona, come si sente di salute? Siamo stati colti di sorpresa quando è andato in ospedale, lei ha detto che è svenuto, allora sente energia per andare alla GMG? E le piacerebbe un evento con un giovane ucraino e russo come segno per le nuove generazioni?

Prima di tutto la salute. Quello che ho avuto è stato un malore forte alla fine dell’udienza del mercoledì, non me la sono sentita di pranzare, mi sono coricato un po’, non ho perso conoscenza, ma sì c’era una febbre molto alta e alle tre del pomeriggio il medico subito mi ha portato in ospedale. Ho avuto una polmonite acuta forte, nella parte bassa del polmone, grazie a Dio posso raccontarlo, a tal punto che l’organismo, il corpo, ha risposto bene. Grazie a Dio. Questo è quello che ho avuto. Su Lisbona: il giorno prima della partenza ho parlato con mons. Américo [S.E.R. Mons. Américo Aguiar, vescovo ausiliare di Lisboa e presidente della Fondazione GMG 2023] che è venuto a vedere un po’ come stanno le cose lì, io ci andrò, ci andrò. Spero di farcela, voi vedete che non è lo stesso di due anni fa, con il bastone, adesso va meglio, per il momento non è cancellato il viaggio. Poi c’è il viaggio a Marsiglia, poi c’è il viaggio in Mongolia, poi c’è l’ultimo non ricordo dove… ancora il programma mi fa muovere.

… e sui giovani di Russia e Ucraina?

Américo ha qualcosa in mente, sta preparando qualcosa mi ha detto. La sta ben preparando!

Santo Padre, io volevo chiederle una cosa un po’ diversa: recentemente lei ha fatto un gesto ecumenico molto forte, ha donato alla Grecia tre frammenti delle sculture del Partenone, da parte dei Musei vaticani. Questo gesto ha avuto anche un’eco fuori dal mondo ortodosso, perché molti musei dell’Occidente stanno discutendo proprio la restituzione del periodo coloniale, come un atto di giustizia nei confronti di queste persone. Io volevo chiederle se lei è disponibile anche per altre restituzioni. Penso ai popoli e ai gruppi indigeni del Canada che hanno fatto la richiesta del ritorno di oggetti delle collezioni vaticane come parte del processo di riparazione per i danni subiti nel periodo coloniale….

Ma questo è il settimo comandamento: se hai rubato, tu devi restituire. Ma c’è tutta una storia, che a volte le guerre e le colonizzazioni portano a prendere delle decisioni di prendere le cose buone dell’altro. Questo è stato un gesto giusto, si doveva fare: il Partenone, dare qualcosa. E se domani vengono gli egiziani a chiedere l’obelisco, cosa faremo? Ma lì si deve fare un discernimento, in ogni caso. E poi la restituzione delle cose indigene è in corso, con il Canada, almeno eravamo d’accordo di farla. Adesso domanderò come va questo. Ma l’esperienza avuta con gli aborigeni del Canada è stata molto fruttuosa. Anche negli Stati Uniti i gesuiti stanno facendo qualcosa, con quel gruppo di indigeni negli Stati Uniti. Il generale mi ha raccontato l’altro giorno. Ma torniamo alla restituzione. Nella misura che si può restituire, che è necessario, che è un gesto, che è… meglio farlo. Talvolta non si può, non c’è possibilità politica, reale, concreta. Ma nella misura che si può restituire si faccia per favore; questo fa bene a tutti. Per non abituarsi a mettere la mano nella tasca degli altri…

Il primo ministro ucraino ha chiesto il suo aiuto per riportare i bambini, portati forzosamente in Russia. Pensate di aiutarlo?

Penso di sì, perché la Santa Sede ha fatto da intermediario in alcune situazioni di scambio di prigionieri e tramite l’ambasciata è andata bene. Penso che possa andare bene anche questa. È importante, la Santa Sede è disposta a farlo perché è giusto, è una cosa giusta e dobbiamo aiutare, affinché questo non sia un casus belli, ma un caso umano. È un problema di umanità prima di un problema di un bottino di guerra o di deportazione di guerra. Tutti i gesti umani aiutano, invece i gesti di crudeltà non aiutano. Dobbiamo fare tutto quello che umanamente è possibile. Io penso anche, voglio dirlo, alle donne che vengono nei nostri Paesi: Italia, Spagna, Polonia, Ungheria, tante donne che vengono con i bambini … e stanno lottando contro la guerra. È vero in questo momento sono aiutate, ma non dobbiamo perdere l’entusiasmo di fare questo, perché se cala l’entusiasmo, queste donne rimangono senza protezione, con il pericolo di cadere nelle mani degli avvoltoi che girano sempre cercando queste situazioni. Stiamo attenti a non perdere questa tensione di aiuto che abbiamo per i rifugiati, questo riguarda tutti…