Can the Rupnik Case be called the Maciel Case of the Pontificate of Francis?

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Mentre tutti noi guardavamo Marko Ivan Rupnik disegnare le ferite di Cristo all’interno delle più grandi e importanti Chiese del mondo, quello stesso uomo stava scavando una ferita indelebile all’interno del Corpo stesso di Cristo, che è la Chiesa.

Mentre tutti acclamavano le sue opere, e lui otteneva posti di potere, lui macchiava indelebilmente la vita delle persone che gli erano affidate.

Quella ferita, che ora segna tutte le membra, è stata allargata, mese dopo mese, da uomini che avrebbero dovuto preservare la Chiesa da soggetti che pensano di utilizzarla come trampolino personale. Difatti, quando si sceglie di coprire, nascondere, occultare, avviene questo. Giorno dopo giorno, diviene sempre più difficile allungare la coperta che copre, arriva quel momento in cui qualcosa fuoriesce. Silere non possum è stato chiaramente preso di mira dal Cardinale Vicario che, con il suo comunicato, ieri ha sostanzialmente puntato il dito contro di noi che abbiamo pubblicato la notizia.

La Compagnia di Gesù e il Rupnik Case

De Donatis mente a se stesso

Peraltro, si badi bene, De Donatis usa parole mai utilizzate prima. Parole che, sulla stampa laica, lui lo sa benissimo, non avrebbero alcun effetto. Ancora una volta, quindi, i carnefici sarebbero coloro che tentano di fare Verità.

Scrive il Vicario: “Tutta la Diocesi, di fronte a questa sconcertante comunicazione, soprattutto mediatica, che disorienta il Popolo di Dio, sta vivendo con preoccupazione e sgomento queste ore”.

Il Popolo di Dio è sgomento, certo, ma non per la “sconcertante comunicazione”, quanto, piuttosto, per la sconcertante non comunicazione. I sacerdoti, i vescovi e i cardinali, non solo i laici quindi, sono sconcertati del fatto che Marko Ivan Rupnik è stato attinto da una scomunica latae sententiae e non ne è stato informato nessuno.

Non si sta parlando di pubblicare sull’Osservatore Romano la foto di Rupnik con scritto “Dannato eternamente”. Si tratta di informare coloro che hanno responsabilità pastorale, non solo legale. I vescovi che invitavano Rupnik avevano il diritto (e il dovere) di sapere. I parroci, ne avevano diritto. Tutti coloro che ora giocano a scaricarsi la colpa, avevano il dovere di sapere e informare.

È bene chiarire che, De Donatis forse si è perso questo pezzo, non si parla di accuse ma di sentenze. La Congregazione per la Dottrina della Fede lo ha ritenuto colpevole. Chiaro? Non si può continuare a dire “presunte”. Marko Ivan Rupnik ha assolto il complice nel de sexto.

Silere non possum non ha mai sostenuto che le persone siano da eliminare. In queste ore c’è stata molta stampa, quella che De Donatis non attacca stranamente, che ha detto, nell’ordine, che Rupnik era da: scomunicare per sempre, ridotto allo stato laicale e pubblicamente disconosciuto.

Noi abbiamo, da subito, detto che è vergognoso che Marko Ivan Rupnik venga protetto e altri siano stati colpiti e allontanati per molto meno. Noi abbiamo toccato il punto dolente, ecco perché De Donatis si arrabbia tanto e invia i suoi inservienti all'avanscopèrta per “chiedere”.

Lo “sconcerto”, quindi, c’è ma non per ciò che abbiamo fatto noi ma per ciò che non hanno fatto loro.

Abbiamo riferito di ciò che è accaduto nel Consiglio Episcopale e abbiamo riferito che Rupnik è ancora membro della Commissione per l’Arte Sacra ed i Beni Culturali e Rettore della Chiesa di San Filippo Neri all’Esquilino. Nulla di falso, tutto certificato. De Donatis scrive: “Questo comporterà verosimilmente, tra l’altro, anche una serie di provvedimenti rispetto agli uffici canonici diocesani”. Arriveranno i provvedimenti? Quando? Sono passati già 24 giorni da quando la notizia è divenuta pubblica. Inoltre, non bisogna dimenticare che le “restrizioni” che vennero comunicate al Vicariato da parte della Curia di Borgo Santo Spirito a fine anno 2021 già richiedevano un intervento del Cardinale De Donatis. Bisognava, quindi, togliere Rupnik come Rettore e come membro della Commissione.

È tutta colpa di De Donatis? No, certo. Lui, però, ha fatto il suo in Vicariato.

Quindi, la chiosa dove afferma: “I giudizi che vediamo diffondersi da parte di molti con particolare veemenza, non sembrano manifestare né un criterio evangelico di ricerca della verità, né un criterio di base su cui si fonda ogni stato di diritto”. Silere non possum non formula giudizi, semmai presenta i fatti. Abbiamo detto che De Donatis ha negato i fatti e questo emerge anche dal comunicato. Lui ancora non ha capito che il Dicastero ha scomunicato Rupnik. Nella vicenda di Marko Ivan Rupnik, peraltro, ci siamo posti molte più domande rispetto alle risposte. Ne sono testimonianza tutti gli articoli sul caso. Abbiamo scelto da subito di agire nel rispetto dell'ordinamento canonico e del Dicastero per la Dottrina della Fede. Non abbiamo pubblicato neppure un documento del fascicolo, proprio perché non avevamo l’intento di rendere pubbliche alcune questioni personali. La Verità, però, chiede di essere chiari. Stupisce che ora De Donatis parli di “ricerca della verità”, quando ha taciuto su Rupnik per tutti questi anni.

Quando De Donatis si è rivolto qui in Vaticano per le questioni, anche economiche, che riguardavano la Cappella del Seminario Maggiore, non poteva non sapere della scomunica latae sententiae e della sua revoca. Era vietato dalle “restrizioni” affidare il progetto a Rupnik? No. Era opportuno? No.

La ferita scoperta

Da subito abbiamo evidenziato come questa vicenda metta in risalto un problema molto grande nel diritto canonico: il legame fra controllore e controllato. Ora il discorso sarebbe molto lungo ma bisogna dire che questo problema con Angelo De Donatis si è venuto a presentare già il 26 maggio 2017. L'ex parroco di San Marco Evangelista, infatti, è stato dal 1990 al 2003, padre spirituale nel Seminario Romano Maggiore. Il Vicario è un ottimo sacerdote e anche il caso Rupnik è una patata bollente che si è trovato a gestire e che chiaramente non ha gestito bene, ma non per cattiveria quanto piuttosto per inadeguatezza.

Il cardinale, però, venne scelto da Papa Francesco con i metodi che contraddistinguono questo pontificato. Nel 2014 De Donatis predicò gli esercizi al Papa e a lui piacque. Il Pontefice, però, non si chiese se questa persona avesse oppure no le capacità di governo, la preparazione canonistica. La diocesi di Roma, poi, era la più adatta per un prete che ha fatto da direttore spirituale a molti dei suoi preti? Quanti sono i sacerdoti che a Roma hanno avuto De Donatis come direttore spirituale ed ora lo hanno come superiore gerarchico? Ancora una volta, foro interno e foro esterno si mescolano e questa devianza è alla base di qualsiasi problema nella Chiesa.

Non è vero che De Donatis "non era consapevole fino a tempi recenti delle problematiche sollevate", lui le conosceva da tempo perchè di questa storia si vociferava da un bel po'. La lettera che noi abbiamo pubblicato, è arrivata a molte persone seppur non fossero in copia. Eppure, sia in consiglio episcopale, sia in Vicariato, De Donatis ha sempre rifiutato costantemente la veridicità di questi racconti. Lo giustifichiamo? No. Lo capiamo? Sì. Quando le persone accusate sono a noi vicine, è sempre difficile essere lucidi, distaccati. Si tratta di qualcosa che, psicologicamente, rifiutiamo perchè se l'ammettessimo ci cadrebbe il mondo addosso. Questo, però, significa che bisogna mantenere la lucidità e dire: "Lascio che facciano altri". Quando, poi, questi si pronunciano bisogna affidarsi.

Questa lucidità è mancata a molte persone in questa storia. Alla negazione per la vicinanza, è susseguita la negazione per "salvarsi". I latini dicevano Simul stabunt simul cadent. Quindi si è passati dalla negazione all'utilizzo di frasi assolutorie, benevole, garantiste. Proprio come ha fatto il Cardinale Vicario durante gli auguri per il Santo Natale all'interno del Vicariato. Ieri mattina, 23 dicembre 2022, prima di pubblicare il comunicato su Marko Ivan Rupnik, De Donatis, commentando lalettera di auguri, ha detto ai dipendenti riuniti: "In noi ci sono delle passioni di violenza, di cupidigia, di aridità, di sensualità che spesso si rivelano anche in maniera improvvisa a noi stessi e rimaniamo stupiti di trovare in noi questa fossa di serpenti". Poi ha continuato: "In un momento di debolezza, di smarrimento, del controllo di noi stessi siamo capaci di azioni spaventose perchè ci sono delle tendenze scatenate e forse dobbiamo ringraziare Dio quando avvengono perchè conosciamo chiaramente noi stessi. Se non venissero fuori, forse quelle zone della nostra vita non le apriremmo all'amore del Cristo che vuole salvarci. Rimarebbero lì sepolte, magari senza accorgercene. Invece, ringraziamo Dio". Richiamando poi il vangelo del giorno [Lc 1, 57-66], De Donatis ha detto: "questa mattina nella Messa mi è venuto spontaneo pensare a volte il Signore ci fa tacere altrimenti dice questo chissà cosa dice di male. Quando poi siamo riusciti, nel silenzio, anche nel mutismo, a lavorare dentro di noi, e a fare in modo che quella cosa si sia chiarita allora ritorna la voce ma non è più una voce che dice cose insulse ma che dice cose stupende".

Un vaniloquio che ha lasciato i presenti un po' storditi. Eppure, il messaggio era chiaro. L'unica cosa che ci chiediamo è se De Donatis ritiene che il comunicato "partorito" in serata sia riconducibile alle "cose stupende". Perchè, sinceramente, il fatto che definisca la Verità come una "cosa insulsa" ci fa un po' rabbrividire.

Purtroppo, una cosa è evidente. Troppo spesso viene utilizzato Nostro Signore per fargli dire ciò che ci pare. Quando si procede in questo modo, c'è il grande rischio dell'abuso spirituale. Ne parla chiaramente Padre Dysmas De Lassus nel suo libro.

La Conferenza Episcopale Slovena

Di poco differente l'atteggiamento dei vescovi sloveni. I presuli, infatti, si ritrovano già da tempo in un vortice in cui viene chiesta trasparenza sui casi di abuso sessuale. Lo scandalo di Rupnik gli è esploso fra le mani ed hanno atteso più di 20 giorni prima di intervenire. Prima hanno pubblicato una dichiarazione di Padre Miran Žvanut, il quale faceva affermazioni palesemente false e smentite anche dalla stessa Compagnia; poi hanno emesso un comunicato in cui ci hanno tenuto a dire che bisogna "distinguere tra i suoi atti inammissibili e da condannare, e il suo straordinario lavoro sia nell’ambito dell’arte del mosaico che nell’ambito della riflessione teologica".

Difatti, molte persone, sempre seguendo l'onda del momento e quindi con il chiaro intento di colpire la Chiesa a 360 gradi, hanno parlato di "distruzione delle Chiese decorate da Rupnik", "imbiancare gli affreschi che ha fatto" o "staccare i pezzetti di mosaico uno ad uno". Questioni che non riteniamo neppure di dover approfondire vista l'assurdità del ragionamento che ci sta dietro. Ancora una volta, però, emerge che ognuno ha il suo interesse e a nessuno importa la Verità. Chi tira fuori queste astruse idee, appunto, aveva già odio verso quell'arte di Marko Rupnik e non chiede questo intervento per giustizia ma per rispondere ad un proprio desiderio.

Anche la Conferenza Episcopale Slovena, però, si lava le mani e dice di non essere competente per quanto riguarda il gesuita che vive ora a Roma. Ancora una volta, quindi, il dito viene puntato verso qualcun'altro.

La Santa Sede

Colei a cui tutti, ora, puntano il dito è la Sede Apostolica. Questo, chiaramente, comporta il coinvolgimento del Sommo Pontefice. Sia chiaro, anche qui bisogna essere obiettivi. Non tutte le scomuniche latae sententiae vengono portate all’attenzione del Papa. È impensabile. Per Sede Apostolica si intende il Dicastero competente. Pertanto, bisogna chiedere perché il Cardinale Ladaria e Mons. Morandi hanno proceduto in questo modo.

Allo stesso tempo non si può dimenticare che la persona di Rupnik è troppo ingombrante per lo stesso Stato della Città del Vaticano e la figura del Papa. Anche semplicemente perché qualcuno aveva capito, molto prima di oggi, che il primo titolo che sarebbe apparso sui giornali, sarebbe stato “colui che ha fatto la cappella del Papa è stato scomunicato”.

È comprensibile che si sia usata più prudenza ma è ben diverso dal tacere e far finta che nulla sia accaduto.

Inoltre, ci sono questioni di opportunità. Si vuole evitare lo scandalo? Va bene. Se però siamo consapevoli, e purtroppo lo siamo, che oggi è difficile mantenere la riservatezza, non possiamo lasciare che un soggetto che ha subito questa condanna possa infangare la figura del Romano Pontefice. Perchè la Sede Apostolica, il 06 marzo 2020, ha permesso che a sostituire il Predicatore della Casa Pontificia, vi fosse Padre Marko Ivan Rupnik il quale era sottoposto a restrizioni e solo 2 mesi prima la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva appurato che l'assoluzione del complice era effettivamente stata data?

Papa Francesco, come è noto, vuole sempre essere informato sulle questioni spinose. Ad un vescovo che ha ricevuto nei giorni successivi alla nostra pubblicazione, il Papa ha riferito anche alcuni particolari della vicenda di Rupnik. Quindi? Il Papa sapeva.

Perché, quindi, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha rimosso la scomunica con questa superficialità? Perché non ha inviato alle persone interessate una lettera dove informava dell’avvenuta scomunica, della revoca e perché non ha invitato alla prudenza?

Perchè la Congregazione si mostrò superficiale nel 2021, quando arrivarono le accuse di abusi? Non si può parlare di clemenza, qui si tratta di vera e propria superficialità.

Sbagliando si impara?

Per quanto ne sappiamo, si tratta del secondo caso in cui Francesco tira fuori il "potente" da una situazione moralmente problematica. Lo ha fatto con Don Mauro Inzoli ed ora con Padre Marko Ivan Rupnik. Una cosa li accomuna: il denaro.

Si parla di rivedere il Codice su alcune tematiche. I mezzi ci sono già. Sul Celebret (documento dimenticato ormai) di Rupnik ci dovrebbe essere scritto che non può predicare (764 CJC) e non può confessare (967 § 2 ), no? Perchè non si chiedono questi documenti?

Abbiamo visto, infatti, che, nonostante le “restrizioni” millantate dalla Compagnia di Gesù, Marko Rupnik ha continuato liberamente le sue attività. Padre Verschueren, infatti, non ha ancora chiarito perché il gesuita sloveno ha predicato gli esercizi a Loreto e risulta ancora come colui che li predicherà a febbraio.

La Santa Sede, inoltre, ha responsabilità anche per quanto riguarda gli incarichi di Marko Ivan Rupnik all’interno della Curia Romana.

Consultore "del Papa"

L'articolo 12 del Regolamento Generale della Curia Romana (ora in revisione) dice che i consultori sono di nomina pontificia. Seppur siamo consapevoli che non è sempre il Papa a sceglierli ma gli vengono anche consigliati, alcune scelte infangano la figura del Romano Pontefice.

Nell'annuario 2022, Marko Ivan Rupnik risulta consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, del Dicastero per il Clero e per il Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. Tenendo conto che il Pontificio Consiglio rientra nel nuovo Dicastero per l'Evangelizzazione, sorvoliamo. Bisogna chiarire questo: Nella Congregazione per il Clero venne nominato il 01.04.2017. Rupnik, quindi, è scaduto proprio quest’anno. È stato riconfermato?

Nella Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti è stato nominato il 14.01.2017. Anche qui, il gesuita è scaduto. A gennaio è stato riconfermato?

Diversamente da quanto hanno affermato alcuni media, del Pontificio Consiglio per la Cultura, invece, l’artista non fa più parte. Non solo perché non esiste più ma perché la nomina risaliva al 1999 e non è più stata confermata.

Fatte queste precisazioni per il momento attuale, bisogna chiedersi: perché nel 2021 e nel 2022 Marko Ivan Rupnik ha continuato a far parte di questi importanti Dicasteri della Curia Romana? Se a maggio 2020 è stata comminata la scomunica, va benissimo che venga revocata, è una facoltà della Sede Apostolica, ma non è il caso di tenere una persona del genere fuori dalle decisioni che riguardano materie così delicate per la vita della Chiesa?

Ora i Dicasteri coinvolti punteranno il dito contro il Dicastero per la Dottrina della Fede? Perché ora diventa semplice dire che tutta la colpa era del Cardinale Ladaria perché sta lasciando l’ufficio. Sarebbe il capro espiatorio perfetto. Eppure, la questione è molto più complessa e, in realtà, si è messa in moto una vera e propria macchina di protezione.

Il Centro Aletti

Nel comunicato il Cardinale Vicario dice: «La Diocesi di Roma è altresì consapevole di dover riflettere ed eventualmente prendere provvedimenti rispetto ad un’attività che già da molti anni è stata avviata da P. Rupnik e dai suoi Collaboratori anche nel nostro ambito diocesano: si tratta del noto “Centro Aletti”».

De Donatis fa bene a mettere le mani avanti, in quanto sono diversi i presbiteri e vescovi che hanno detto in queste ore: “La consacrata dice di aver subito abusi anche nel Centro Aletti, e nessuno mette mano lì dentro?” Come dargli torto? Non solo, questo.

Si nota una vera e propria strategia che in questi anni è stata messa in atto da Marko Rupnik e da chi lo ha consigliato sapientemente. Se gli esercizi ai vescovi prima venivano predicati da Rupnik, oggi sono predicati da Marina Stremfelj. Se prima una attività la faceva il gesuita sloveno, oggi la fa Maria Campatelli. Una sorta di spostamento nell'ombra per poter continuare, comunque, ad agire.

Ora, tralasciando l’inopportunità di far predicare gli esercizi spirituali ai presbiteri da una consacrata, non puzza un po’ questo sistema? Non possiamo credere che se Theodore Edgar McCarrick abusava davvero di alcune persone, Kevin Joseph Farrell non sapesse nulla pur vivendoci insieme. Stesso discorso vale qui.

Ma qui in gioco non c’è né la preparazione spirituale, né l’opportunità, né la questione degli abusi, qui tutto ruota attorno ai soldi. Il Centro Aletti, infatti, in questi anni è divenuto un vero e proprio fortino pieno di denaro. Ora, non penserete mica che si possa distruggere Paperon de' Paperoni? Too big to fail, ci aveva detto un alto prelato, qui in Vaticano. Ed effettivamente questo continuo puntare il dito a destra e a sinistra è il chiaro comportamento di chi non vuole riconoscere che forse, proprio sul caso Rupnik, si è commesso lo stesso errore che Giovanni Paolo II fece con Marcial Maciel Degollado.

S.I.

Silere non possum