Speaking on the Rupnik Case are some priests from the Pope's diocese.

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Dopo le prime notizie, le caute e maldestre ammissioni, le inevitabili reazioni di sconcerto e di incredulità, sul Rupnik-Case sta calando pian piano quel silenzio che lui, padre Marko, ha mantenuto con grande iattanza e assoluto spregio delle norme più elementari di comunicazione e di fraternità cristiana (neppure tiriamo in ballo la celebranda sinodalità): sarà anche questo un carattere trinitario che il buon (?) padre gesuita si preoccupa di insegnarci con le sue pratiche pastorali, spirituali e artistiche, tutte compiute più all’insegna di un personalissimo discernimento che del rispetto delle leggi di Dio, le quali neppure Gesù si peritò di abolire. Siamo dunque in presenza di qualcuno più grande di Lui: padre Rupnik attinge, par di capire, direttamente dalla pericoresi trinitaria quanto Cristo ci avrebbe taciuto e quanto invece lo Spirito Santo gli soffierebbe in cuore.
Non sarebbe la prima volta in realtà, nella storia della Chiesa, che arriva qualcuno ad annunciare una libertà dello Spirito che rompe dualismi greci, moralismi puritani, formalismi istituzionali, pratiche sacramentali da reinventare creativamente. Sarebbe interessante verificare se tra gli innumerevoli scritti di Rupnik non siano citati alcuni di questi profeti, magari rielaborati originalmente e spacciati come “vita nello Spirito”, come Nuova Era che sta per scoccare sul quadrante della storia, inoculati ai tanti e alle tante caduti in quelle che ora appaiono altrettante maglie manipolatorie del gesuita sloveno. Il quale, stando ai racconti non smentiti delle vittime, presenterebbe evidenti problemi di equilibrio psicosessuale, ben radicati nel profondo della sua psiche: in quel punto dell’essere da cui nascono appunto le azioni. Distinguere fino a separare la condotta abusatrice di Rupnik, la sua teologia e la sua arte presuppone una scissione dell’unità della persona che metterebbe decisamente in questione l’antropologia più elementare.
Un tale silenzio, così inopportuno in un uomo viceversa tanto loquace e naturalmente predisposto all’insegnamento se non all’indottrinamento, ha incredibilmente (o forse non così incredibilmente) trovato nel cardinale Angelo De Donatis il suo esegeta più consapevole e l’apologeta più convinto. Prova ne sono stati gli auguri di Natale recentemente fatti al personale del Vicariato.
Tutta la vicenda giustifica le critiche dei peggiori “maestri del sospetto” circa la religione di Chiesa, e vanifica il lavoro pastorale di centinaia di preti che ogni giorno desiderano essere strumenti di Cristo buon pastore, al contrario di questi cattivi pastori che in realtà si alleano con i lupi, lasciando che le pecore diventino loro prede. E gronda di uno spiritualismo più falso del bacio di Giuda, intrecciato com’è di teologumeni blasfemi, uso strumentale della fede e della religione (e consueto legame con i soldi e il potere), manifestazione evidente di inconsistenze personali (psicologiche, intellettuali, spirituali) gravi e patenti – le quali, da sole, giustificherebbero l’allontanamento dal ministero di chi le sposa e le difende nonché di chi le incarna.
Sopra questo silenzio vorremmo alzare la nostra voce, da qui: sotto l’obelisco di San Giovanni.

È una voce che intercetta altre voci ovvero quelle del clero romano che transita qui dappresso per recarsi al Palazzo del Vicariato. E che sta abitualmente al di fuori di quel Palazzo: ci sta quel tanto che basta per saper riconoscere le chiacchiere clericali (che invece proliferano dentro al Palazzo dal quale spesso esondano, con il loro intreccio di talora perfidia, spesso invidia, talvolta calunnia) dal bisogno di capire, di rimettere insieme i cocci rotti, di darsi una spiegazione che sia minimamente coerente, e che tutto sono tranne che chiacchiericcio demolitore.
Confondere le due cose è darla vinta per principio al più forte, e voler imporre un silenzio nel quale il più forte possa impunemente continuare a fare le sue cose. E pone l'interrogativo circa l’ascolto dei preti, attualmente non così realistico e invece tendente molto allo spiritualizzante.
Così, tra un saluto all’ingresso della piazza e due chiacchiere scambiate mentre si aspetta insieme il verde al semaforo pedonale, si va componendo un tesario di questioni che fiduciosi iniziamo a mettere per iscritto, con la mai sopita speranza che un giorno (speriamo quando noi saremo ancora in vita) vengano riportate anche su questi fatti - così duri da sopportare - verità e giustizia: senza ulteriori cortocircuiti spiritualisti, senza nuove e dolorose insabbiature, senza indebite penose difese d’ufficio, senza riduzionismi clericali, senza venir meno alla misericordia pacifica.
A nessuno di noi fa piacere vedersi addossate colpe e comportamenti che non lo riguardano e nessuno vuole che sia usata la vita della Chiesa o l’appartenenza al presbiterio come uno scudo che protegga eventuali delinquenti. Non siamo affatto tutti maniaci sessuali, non siamo tutti abusatori seriali, non siamo facili scialacquatori del denaro delle offerte.
È curioso se non sospetto che finora nessun prete romano abbia avuto il coraggio o la volontà di chiedere quei chiarimenti che pure sarebbero doverosi per pacificare coscienze stordite e disorientate da gente così. Una pace che il comunicato del Vicariato non ha prodotto, anzi.
Perché, oltre ad essere stato scritto malamente e con sprezzo dei fatti già accertati dall’allora Congregazione per la Dottrina della Fede, quel comunicato è intriso di viltà e dell’irresponsabilità propria di chi vorrebbe scaricare su altri le proprie connivenze - se non le proprie complicità.

La prima serie di questioni del nostro tesario la formula don Mimmino (nome di fantasia).
In America, dove sono preti alcuni amici che hanno studiato con noi alla Gregoriana, si è molto diffuso un articolo ("Deciphering De Donatis", nel The Catholic World Report) nel quale si vuole spiegare il comunicato di don Angelo come un’indicazione coperta dal linguaggio “curialese” circa il vero responsabile dell’andamento della vicenda: ovverosia il Santo Padre. Scrive quella testata, citando il comunicato del Vicariato: in quel che ha fatto la diocesi di Roma e in quel che fa è “confortata dal discernimento del suo Supremo Pastore”. “Fondamentalmente il cardinale De Donatis sta dicendo a tutti coloro che leggono e capiscono il curialese che Papa Francesco sta prendendo le decisioni su questo caso e che alle spalle di p. Rupnik c’è il Papa”.
Don Mimmino si pone alcune domande, a tal riguardo, interessate a chiarire i legami tra Rupnik e don Angelo:
  • davvero il Papa in una questione del genere non ha avuto il suo Vicario come consulente? Davvero don Angelo non ha difeso Rupnik né quando le accuse sono state presentate alla Congregazione né presso il Papa, in uno dei tanti incontri che ha avuto modo di avere con lui? Ha usato anche con loro l’argomento delle “calunnie” e dei fatti “andati diversamente”? [Qui] Ha per caso garantito personalmente della correttezza di p. Rupnik? O l’ha buttata in caciara, invocando la misericordia e il perdono, la possibilità di ricominciare… senza concedere questa possibilità anche alle eventuali vittime? È vero - come abbiamo letto - che i gesuiti gli avevano scritto, avvertendolo della situazione di padre Rupnik? È vero che non ha mai risposto a queste lettere? E perché?
  • davvero don Angelo ha il coraggio di sfilarsi dalle sue responsabilità nei confronti di Rupnik? Il quale è stato regolarmente chiamato a tenere laboratori per la formazione del clero ogni anno, esercizi spirituali, incontri di formazione con i seminaristi, etc etc, su precisa volontà del cardinale Vicario? (Questo lo chiede un prete giovane, che ha subito Rupnik dai tempi del seminario)
  • davvero don Angelo non ha avuto modo di conoscere se non “recentemente” quel che si riferiva di Rupnik? Non è stato uno dei frequentatori più assidui e convinti del Centro Aletti, fin da tempi non sospetti? Non gli era arrivata nessuna segnalazione, di nessun tipo? Lo potrebbe giurare?
  • davvero don Angelo rinnega di aver motu proprio (cioè senza aver coinvolto o richiesto il parere degli organismi diocesani a ciò preposti) riconosciuto il Centro Aletti come Associazione pubblica di fedeli diocesana? È vero che ad essa è collegata un’associazione privata per l’inserimento delle donne allo stesso Centro Aletti? (Questo lo chiede un appartenente al Pro Sanctitate)
  • davvero don Angelo avrebbe costituito una fraternità sacerdotale che farebbe capo a p. Rupnik, con le stesse modalità di cui sopra, strutturando così un legame anche istituzionale tra questa creatura di Rupnik e la diocesi di Roma? Perché dice che la diocesi non ha obblighi di sorveglianza e di tutela di nessun tipo con Rupnik e con le sue attività, presenti sul territorio diocesano?
  • davvero don Angelo farebbe il sottile leguleio, distinguendo tra le attività di Maria Campatelli e quelle di Rupnik? Tra padre Ivan Bresciani e Rupnik? (questa questione se la pone un sacerdote che ha partecipato ai laboratori della formazione permanente al Centro Aletti)
  • davvero don Angelo non ha avuto mai segnalazioni riguardo a Rupnik? E se le ha avute, perché non ha attivato pubblicamente tutta la procedura prevista per casi di questo tipo, vista la presenza e il coinvolgimento di Rupnik nella vita pastorale diocesana? Dobbiamo dunque pensare che anche padre Libanori sia complice nella congiura del silenzio? Se invece ha agito rettamente, perché non ce lo spiega, così rassicurandoci con qualche parola in più che non sia un comunicato malfatto, al quale non manca neppure il buon latinorum di manzoniana memoria?
  • davvero il legame tra don Angelo e padre Rupnik ha quella libertà necessaria perché il pastore corregga autorevolmente la pecora che sbaglia? O siamo di fronte all’ennesimo caso di cortocircuito tra foro interno e foro esterno? (Se lo chiede un ex padre spirituale del seminario)
  • che dire poi della vicenda dell’icona per la Giornata mondiale delle famiglie? (Questo non lo chiede don Mimmino, ma don Fabietto - sempre nome di fantasia). Perché la commissione dell’icona che fu affidata ad un’altra artista da parte dell’allora segretario generale del Vicariato le è stata improvvisamente tolta quando il lavoro era quasi finito, per affidarla invece a Rupnik? A che prezzo? Perché il nuovo segretario generale mons. Pierangelo Pedretti volle a tutti i costi questo cambio?
  • che dire della questione della chiesa di San Giovanni Nepomuceno? (Questo lo chiede invece un confratello del settore Ovest, dove la vicenda ha avuto una certa risonanza, prima che fosse anche questa inghiottita dal silenzio). Perché don Angelo insistette nel volerla affidare a Rupnik e ai suoi architetti? E dove contava di trovare i soldi per realizzare quel prototipo del Rupnik-pensiero? Dalla CEI? E la CEI lo avrebbe veramente approvato? Di quanti milioni di euro si trattava?
  • e, a proposito di milioni, si può sapere il costo esatto del Manga-santuario (definizione di un prete giovane, che non tutti per la verità condividono) che è diventata la Cappella maggiore del nostro seminario? [Qui] Sono state rispettate le tanto invocate norme (quando le devono rispettare gli altri) sugli appalti e sulla trasparenza? Da dove sono arrivati i soldi necessari per pagarla tutta? Li ha presi per caso dalla sua consueta cassaforte, ovvero l’Istituto Benedettine di Priscilla, di cui è tuttora commissario? Perché non fare chiarezza definitivamente anche su questa vicenda, invece di lasciare libero corso alle supposizioni, alle illazioni e ai sospetti?
  • infine: quali garanzie può offrire il discernimento operato con questo stile da don Angelo per noi e per le nostre vite sacerdotali? (questo se lo chiedono un po’ tutti)
Da sotto l’obelisco di san Giovanni per ora è tutto. Certo, è doloroso che dobbiamo ricorrere a questi sistemi per sapere che cosa sia successo, e per capire chi e come siano davvero i nostri pastori. In tempi di conversione alla sinodalità ci si aspetterebbero altre dinamiche, nelle quali intrecciare paternità e fraternità, trasparenza e coraggio. Così non è stato, finora.
Forse anche questo silenzio fa parte della pericoresi trinitaria, che non finisce di stupirci nella sua creatività.
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Alcuni sacerdoti della diocesi di Roma
per Silere non possum