Raffaele Mincione was interrogated by the Vatican Tribunal.

Ieri, 06 giugno 2022, si è celebrata la ventesima udienza del processo Sloane Avenue nell'aula polifunzionale dei Musei Vaticani. Innanzi al Tribunale dello Stato della Città del Vaticano è comparso Raffaele Mincione che ha risposto alle domande dei Promotori di Giustizia per circa sette ore intense. Le accuse sono peculato, truffa, abuso d’ufficio, appropriazione indebita e auto riciclaggio. La pubblica accusa ipotizza che le disponibilità della Santa Sede sarebbero state dirottate verso società collegate a Raffaele Mincione, il quale se ne sarebbe appropriato indebitamente.

Gogna mediatica

All'inizio dell'interrogatorio Mincione ha tenuto a sottolinare il clima mediatico che investe questo processo. Ha parlato di una “gogna mediatica” che lo ha “scuoiato come delinquente”. Ha riferito che era la prima volta che si ritrovava in una situazione del genere, “Mai sono stato multato in trentacinque anni di carriera, mai ricevuto un rimprovero dalle banche centrali che regolano il nostro lavoro”.

Come dare torto a Mincione? Abbiamo già sottolineato che c'è chi su questo procedimento ci specula e ci guadagna. Addirittura ci sono soggetti che scrivono libri sul Vaticano ma in questo Stato non sono mai entrati. Possono solo vantare di essere dei "passa carte" fra persone che dovrebbero servire lo Stato ma in realtà stanno giocando a distruggerlo per gonfiare il proprio ego. L'unica parola che alcuni prelati pronunciano su questi pseudo scrittori è: "Millantatori". In effetti dagli atti di alcuni fascicoli emergono gravi accuse su questi soggetti che millantano titoli ma non hanno alcuna competenza.

Non sono chiari neppure i capi di imputazione, dice Mincione: “al di là della narrativa dei media, ripresa dai verbali, dove mi si dipinge in una maniera terribile, sono qui a difendermi dai gossip, perché finora i fatti contestati ancora non li ho capiti”.

Il Presidente del Tribunale, Giuseppe Pignatone, ha replicato dicendo: “I gossip e i media, il Tribunale non li ha letti in passato non lì considererà in futuro. Abbiamo agito secondo coscienza”. Eppure Pignatone non ha ancora fatto nulla perché il suo compito dovrà essere quello di giudicare quanto emergerà da questo dibattimento, quindi a cosa si riferisce? Excusatio non petita, direbbero i latini...

In merito al palazzo, Mincione, ha rivendicato la validità di quel “bellissimo progetto”. “Un progetto, ha specificato Mincione, la confusione in questa storia è parlare di un palazzo quando è un progetto”. La volontà iniziale era quella di acquistare l’ex magazzino Harrod’s, modificando la destinazione ad ufficio e ristrutturarlo come abitazione, per poi rivenderlo. “È un palazzo bellissimo, ci passo davanti ogni mattina quando accompagno mia figlia a scuola. Io non volevo venderlo il palazzo, speravo di tenerlo e svilupparlo”. 

Il clima dell'interrogatorio 

Nell'udienza che si è celebrata ieri è da sottolineare il clima che ha caratterizzato l'interrogatorio. Nella mattinata il tutto è proceduto con serenità, in aula a svolgere le funzioni di Promotore di Giustizia vi erano Roberto Zanotti e Gianluca Perone. Nel pomeriggio, invece, in aula vi era Alessandro Diddì e il clima è cambiato completamente. Addirittura il Presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone ha suggerito a Diddì di confrontarsi con i suoi colleghi perchè le cinque ore precedenti erano state serene. 

Il difensore di Mincione ha fatto una opposizione ad una domanda, mal posta come al solito, da Alessandro Diddì. Il Promotore Aggiunto, piuttosto che tacere e lasciare voce al Tribunale, come impone il codice, ha risposto all'avvocato con fare stizzito. Il presidente del tribunale è stato costretto a sospendere l'udienza per cinque minuti.

Sono venti udienze che Alessandro Diddì continua a corroborare le proprie domande da superflue, inopportune e asfissianti premesse. Il compito della pubblica accusa è fare una domanda che sia il più "asciutta possibile" e che faccia comprendere cosa è accaduto e non un giro di parole assurdo per influenzare l'imputato ed ottenere una risposta confacente alle proprie idee.

Sloane Avenue

Mincione ha ribadito che quando la Segreteria di Stato scelse di uscire dal fondo, lui non era d'accordo. “Ero perplesso, non ci sarebbe stata nessuna perdita”, ha detto. Oggi in aula ha riferito che fu uno dei principali errori: “Il mio fondo non investe in operazioni ordinarie, non è mai un mordi e fuggi, i fondi investiti sono bloccati per un periodo fisso di cinque anni più due. Se la Segreteria di Stato avesse aspettato il periodo di lock up avrebbe avuto addirittura una plusvalenza di circa venti milioni”.

Ha poi reso noto che per la Santa Sede vennero attuati strumenti specifici perchè era un “investitore professionale” in quanto “Stato sovrano”. Mincione aveva creato un “fondo bilanciato” (chiamato Goff) diverso dalle ordinarie attività dei suoi fondi che sottopongono a rischi chi le sottoscrive.

“Vivo a Londra da quando ho diciotto anni. Da trenta mi occupo di finanza strutturata e non ho mai avuto problemi di alcun genere per il mio operato. Ho lavorato in ruoli apicali per le principali banche d’affari del mondo. Dal 2009 ho fondato un gruppo indipendente fatto di varie realtà, tutte sottoposte alla sorveglianza dei regolatori europei, oltre che dei controllori interni e esterni a vari livelli. Nessuno dei controllori istituzionali, a nessun livello, né prima né dopo l’inizio di questa inchiesta, ci ha mai mosso obiezioni rispetto ai valori e ai nav che abbiamo attribuito ai nostri asset." ha detto.

Mincione ha poi precisato: "Sta di fatto che l’impianto dell’operazione era già stato deciso a monte tra le banche e la Segreteria di Stato. I nostri clienti, cioè gli investitori che hanno sottoscritto i contratti con noi e con i quali ci siamo obbligati sono Credit Suiss e Sitco. Fummo chiamati perché era noto che mi ero occupato di operazioni su materie prime, anche per alcuni tra i principali gruppi mondiali del settore petrolifero, del gas e delle materie prime in genere. Svolgemmo alcune diligence sull’affare angolano e alla fine, dopo approfondimenti di ogni genere, il nostro parere fu negativo, sia per l’indebitamento della società Falcon Oil sia per la mancanza di garanzie e per i costi assicurativi." 

Il coinvolgimento di Torzi

Proprio quando la Segreteria di Stato decise di uscire dal fondo, entra nelle trattative Gianluigi Torzi. Il compito del broker molisano era quello di convincere Mincione a trovare un accordo per far uscire la Santa Sede dal fondo Athena. Torzi “era fully founded dalla Santa Sede”, ha spiegato Mincione, raccontando anche un aneddoto. Un giorno Torzi gli confidò “di sentirsi usato da Crasso che lo aveva mandato avanti per convincermi a cedere la mia quota. Se me l’avessero chiesta, l’avrei ceduta”. Tutta la vicenda “per me è stata una sconfitta”, ha detto Mincione, “sono stato mandato via da un cliente che ammiravo tantissimo”.

Oggi in aula si sta procedendo alla seconda parte dell'interrogatorio di Raffaele Mincione.

L.M.

Silere non possum