Scandal at the Gregorian University: lecturers are paid little.

Grandi slogan guidano gli interventi del Santo Padre. Questa mattina, da poco dimesso dal Policlinico Gemelli, ha ricevuto l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale della Repubblica Italiana. All’interno della Sala Clementina Francesco ha detto: “La meritata pensione di un lavoratore, infatti, si sostiene non solo grazie ai suoi anni di lavoro, ma anche sul fatto che c’è qualcuno che, attraverso la sua attività, sta pagando concretamente la pensione di altri. In sostanza, un forte legame tra le generazioni è il presupposto perché la previdenza funzioni”. 

Un tema particolarmente caldo quello che il Pontefice affronta, in particolare in questi anni in cui, nella Repubblica Italiana, si stanno affrontando riforme di ogni tipo che non risolvono il problema. Poca attenzione agli anziani ma anche poca attenzione ai giovani. Francesco, quindi, tuona: “Segni preoccupanti in tal senso sono la crisi ecologica e il debito pubblico che viene caricato sulle spalle dei figli e dei nipoti. Pensare che in alcuni Paesi i nipoti nasceranno con un debito pubblico terribile!”



Poi, le solite esortazioni con il metodo gesuita: tre punti. Il Papa ha detto: “desidero rivolgere tre appelli per custodire una previdenza all’altezza delle sfide di società che, come quella italiana, stanno invecchiando sempre di più”.

Fra queste vi è l’invito ad eliminare il lavoro nero e favorire un “lavoro dignitoso, che è sempre «libero, creativo, partecipativo e solidale»“. Le parole di Francesco, però, sono molto belle nella teoria ma non vengono attuate nella pratica. Il primo a non farlo è proprio lui, il quale all’interno dello Stato della Città del Vaticano sta portando avanti riforme che arricchiscono i suoi fedelissimi ma sono afflittive per i nemici. Non ci riferiamo solo al Rescritto con il quale si riserverà la possibilità di cacciare chi non gli va a genio, ma anche delle politiche attuate dalle persone a lui vicine. Si pensi, ad esempio al suo ordine religioso e, in particolare, dall’università che Francesco ha trasformato in “ateneo del Papa”. Difatti, se negli anni la Pontificia Università Lateranense è stata considerata l'”ateneo del Papa”, oggi non si può più dire questo. A prendere questo posto privilegiato è proprio la Pontificia Università Gregoriana, guidata dalla Compagnia di Gesù. Da qui, Bergoglio attinge anche per le nomine episcopali.

Sfruttamento dei lavoratori in Gregoriana

L’ateneo pontificio gode di stima in tutto il mondo e il docente che riferisce di insegnare in questo luogo trova molte porte aperte. Purtroppo, però, le cose sotto al Quirinale non funzionano proprio bene. Siamo costretti a fare la fame, gli stipendi sono ridicoli e solo con questo non puoi certo vivere”, riferisce un docente.

La PUG è l’ateneo pontificio con le rette più alte (2.200 € l’anno per il solo baccalaureato). Allo stesso tempo, è l’università pontificia che retribuisce meno i suoi docenti. Non si parla dei docenti della Compagnia, i quali chiaramente hanno un altro tipo di trattamento, ma di coloro che sono diocesani, appartenenti ad altri ordini o laici. Si tratta di stipendi da 500 € a semestre, se va bene. 

La situazione non cambia per determinati addetti di segreteria. Molti docenti, che peraltro svolgono questo importante lavoro con devozione e consapevoli di quanto sia importante formare i futuri teologi, canonisti e filosofi, sono costretti a fare numerosi sacrifici ma qualcuno, chiaramente, non riesce ed “abbandona la nave”.

“Il Papa parla e spiega tante cose belle ma, poi, nella pratica, sono proprio coloro che lo osannano a fare il contrario di ciò che dice”, lamenta una religiosa. A seguito degli anni in cui è stato rettore Gianfranco Ghirlanda, le cose sono peggiorate. Difatti, durante la gestione di quest’ultimo ha portato l’ateneo ad investire in America. Quando nel 2008 la Washington Mutual crollò, creando il più grande crack bancario nella storia degli Stati Uniti, la Gregoriana ha iniziato un lungo periodo di dolorosa penitenza.

In Evangelii Gaudium Francesco scriveva: «Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma  di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”».

"Vi faccio causa". Secondin minacciò la Gregoriana 

A prendere il toro per le corna fu Padre Bruno Secondin, teologo carmelitano che nel 2015 Francesco chiamò per predicare gli esercizi spirituali alla Curia romana. Il religioso insegnava spiritualità moderna e fondamenti di vita spirituale all'Università dei Gesuiti. Quando la Gregoriana decise di "mettere a posto" la situazione dei docenti, Secondin chiese una sorta di "riconoscimento" economico dei venti anni passati ad insegnare. Il tutto anche ai fini previdenziali di cui parlava proprio il Santo Padre questa mattina.

L'ateneo non voleva dare alcunché e il carmelitano minacciò di fare causa unendosi con tutti gli altri docenti. Solo allora, magicamente, si arriva ad un accordo e i gesuiti riconobbero quanto il religioso chiedeva e a cui aveva diritto.

Oggi, all'interno dell'università vi sono diversi collaboratori che risultano dottorandi ma hanno ben altre mansioni e non hanno alcuna tutela dal punto di vista contrattuale. Cambia il vento, tutti a casa. I docenti sono sottopagati, basti pensare che alcuni hanno scelto di cambiare andando ad insegnare all'Università Urbaniana dove lo stipendio medio è il doppio di quello in PUG. Ancora una volta, quindi, assistiamo ad un sistema consolidato che agevola gli amici e penalizza i "comuni mortali".

R.I.

Silere non possum