Pope Francis' last day in Bahrain. The Pope did not spare the Bahraini government and invited it to reflect on itself.

Si è concluso con l’incontro di questa mattina, il 39° Viaggio Apostolico internazionale del Santo Padre Francesco. Il Papa ha partecipato ad un momento di preghiera con i Vescovi, i Sacerdoti, i Consacrati, i Seminaristi e gli Operatori Pastorali presso la Chiesa del Sacro Cuore a Manama.

Francesco, al termine dell’incontro, si è recato alla Sakhir Air Base di Awali per la cerimonia di congedo dal Regno del Bahrein. L’aereo con a bordo il Santo Padre è decollato da Awali alle ore 13.16 (11.16 nello Stato della Città del Vaticano). L’atterraggio all’Aeroporto Internazionale di Roma/Fiumicino nella Repubblica Italiana, è previsto per le ore 16.35. Poi il Pontefice rientrerà in Vaticano.

Ai religiosi: “conservate la vostra gioia”

La giornata di domenica 06 novembre 2022, ultima del viaggio apostolico del Papa in Bahrein, è iniziata con la Santa Messa celebrata in privato nella residenza papale. Successivamente Francesco si è recato alla Chiesa del Sacro Cuore a Manama. Ai religiosi lì radunati ha detto: “sono lieto di trovarmi in mezzo a voi, in questa comunità cristiana che ben manifesta il suo volto “cattolico”, cioè universale: una Chiesa abitata da persone provenienti da molte parti del mondo, che si ritrovano insieme a confessare l’unica fede in Cristo”. 

La Chiesa, ha ricordato Francesco, “nasce dal costato aperto di Cristo, da un bagno di rigenerazione nello Spirito Santo”. Come di consueto, caratteristica molto apprezzata del Papa, Bergoglio ha proposto una riflessione su “tre grandi doni che lo Spirito Santo ci consegna e ci chiede di accogliere e di vivere: la gioia, l’unità e la profezia”. 

Ha invitato i religiosi a vivere la gioia cristiana e donarla. “La gioia cristiana, ha detto, non si può tenere per sée quando la mettiamo in circolo, si moltiplica”. Poi ha invitato, laici e non, a stare “attenti al chiacchiericcio, per favore: le chiacchiere distruggono una comunità. Le divisioni del mondo, e anche le differenze etniche, culturali e rituali, non possono ferire o compromettere l’unità dello Spirito”. Il Pontefice è consapevole che la Chiesa, in tutte le comunità, sta vivendo un momento particolarmente delicato come quello del Sinodo sulla Sinodalità, di cui abbiamo parlato qui.

Una testimonianza, quella di Chris, è stata un esempio positivo di come la comunità cattolica, quando risponde alla sua vocazione, offre un terreno libero da discriminazioni e pregiudizi. Il Papa ha preso spunto dalla sua testimonianza per rivolgere un invito molto bello: “quand’era molto giovane, ciò che l’aveva affascinata della Chiesa cattolica era «la comune devozione di tutti i fedeli», indipendentemente dal colore della pelle, dalla provenienza geografica, dalla lingua: tutti riuniti in una sola famiglia, tutti a cantare le lodi del Signore. Questa è la forza della comunità cristiana, la prima testimonianza che possiamo dare al mondo. Cerchiamo di essere custodi e costruttori di unità! Per essere credibili nel dialogo con gli altri, viviamo la fraternità tra di noi. Facciamolo nelle comunità, valorizzando i carismi di tutti senza mortificare nessuno; facciamolo nelle case religiose, come segni viventi di concordia e di pace; facciamolo nelle famiglie, così che il vincolo d’amore del sacramento si traduca in atteggiamenti quotidiani di servizio e di perdono; facciamolo anche nella società multireligiosa e multiculturale in cui viviamo: sempre a favore del dialogo, sempre, tessitori di comunione con i fratelli di altri credo e di altre confessioni. So che su questa strada voi offrite già un bell’esempio, ma la fraternità e la comunione sono doni che non dobbiamo stancarci di chiedere allo Spirito, per respingere le tentazioni del nemico, che sempre semina zizzania”.

Le parole del Papa contro le discriminazioni

Durante questo Viaggio Apostolico ci sono state diverse voci critiche che hanno chiesto al Papa, dapprima di astenersi dal visitare questo Stato, successivamente di denunciare le discriminazioni e le violazioni dei diritti umani commesse dal regime.

Francesco ha scelto di visitare comunque questa realtà, pur consapevole che qualcuno lo stava strumentalizzando per "ripulirsi l'immagine" davanti alla comunità internazionale. Nella giornata di ieri, 05 novembre 22, alcuni parenti di persone destinate alla pena di morte o prigionieri politici, hanno chiesto al Papa di esprimersi contro questi atti gravi. Il Papa ha scelto di utilizzare la delicata via diplomatica ma ha comunque chiarito qual è la posizione della Chiesa e della Santa Sede. «Sai cosa penso io, quando entro in un carcere? si è domandato il Papa durante l'incontro odierno, “Perché loro e non io?”. È la misericordia di Dio. Ma prendersi cura dei detenuti fa bene a tutti, come comunità umana, perché è da come si trattano gli ultimi che si misura la dignità e la speranza di una società».

Nel primo discorso che ha rivolto alla popolazione ha detto: "Penso anzitutto al diritto alla vita, alla necessità di garantirlo sempre, anche nei riguardi di chi viene punito, la cui esistenza non può essere eliminata”. Parole chiare che, seppur non hanno mai tirato in ballo nomi e ruoli, hanno raggiunto il loro scopo.

Anche per quanto riguarda il diritto alla libertà religiosa, Francesco non si è risparmiato ma ha chiaramente detto: "A tale proposito, esprimo apprezzamento per le conferenze internazionali e per le opportunità d’incontro che questo Regno organizza e favorisce, mettendo specialmente a tema il rispetto, la tolleranza e la libertà religiosa. Sono temi essenziali, riconosciuti dalla Costituzione del Paese, la quale stabilisce che «non vi deve essere alcuna discriminazione in base al sesso, alla provenienza, alla lingua, alla religione o al credo», che «la libertà di coscienza è assoluta» e che «lo Stato tutela l’inviolabilità del culto». Sono, soprattutto, impegni da tradurre costantemente in pratica, perché la libertà religiosa diventi piena e non si limiti alla libertà di culto; perché uguale dignità e pari opportunità siano concretamente riconosciute ad ogni gruppo e ad ogni persona; perché non vi siano discriminazioni e i diritti umani fondamentali non vengano violati, ma promossi".

Chiare prese di posizione che mirano a contestare quanto commesso dal governo del Bahrein, il quale pratica una "tangibile persecuzione religiosa" e discriminazione tra i bahreiniti. Lo ha recentemente denunciato anche Fairooz, ex membro del Consiglio dei Rappresentanti del Bahrein, il quale ora è costretto a vivere in Europa in esilio. L'attivista ha sottolineato anche l'arresto e l'esilio di figure religiose di alto livello, oltre a centinaia di altre persone detenute.

Ieri i manifestanti di cui vi abbiamo parlato, sono stati minacciati e trattenuti per qualche ora dalla polizia. Successivamente sono stati rilasciati con l'avvertimento che sarebbero potuti essere convocati nuovamente in commissariato. Gli sciiti del Bahrein, poi, sono collocati in villaggi satellite e il governo tende a sminuire la loro storia. La libertà di stampa è anch'essa colpita. I media del Paese rimangono soggetti al regime e ai giornalisti critici sono state revocate le tessere stampa rilasciate dal governo.

F.G.

Silere non possum

Di seguito pubblichiamo il testo integrale dei discorsi pronunciati nella giornata odierna

Saluto di S.E.R.Mons. Paul Hinder, O.F.M. Cap.,

Amministratore Apostolico del Vicariato Apostolico dell’Arabia del Nord

Santissimo Padre,
Benvenuto alla Chiesa del Sacro Cuore a Manama, Bahrein, dove, dal 1938 al 1939, lo Sceicco Hamad bin Isa bin Salman Al Khalifa, Emiro del Bahrein, accolse la comunità cattolica, donandoci un luogo per la costruzione della prima chiesa sulle rive del Golfo arabico.
La gente che Lei incontrerà questa mattina sono rappresentanti di una Chiesa migrante, non solo in Bahrein ma anche in Kuwait, Qatar e Arabia Saudita, che appartengono tutti al Vicariato Apostolico dell’Arabia del Nord. Alcuni qui provengono anche da altre parti della penisola arabica. Questi sacerdoti, religiosi e religiose e laici rappresentano tutti coloro che sono impegnati nella pastorale in questa regione: parroci, assistenti sacerdoti, religiose, catechisti, responsabili di associazioni e gruppi di preghiera.
Riflettono anche la diversità culturale ed etnica della Chiesa migrante in questa parte del mondo. Molti di loro stanno lottando ogni giorno, ma lo fanno con profonda fede, confidando che siamo tutti nelle mani del nostro Padre celeste.
Nel Vicariato Apostolico dell’Arabia del Nord, ci sono attualmente circa 60 sacerdoti che lavorano tra circa 2 milioni di cattolici dispersi in quattro paesi. Circa 1.300 catechisti insegnano catechismo a più di 16.000 bambini. Tutti lavorano come volontari, a volte in condizioni molto difficili a causa delle restrizioni in alcuni Paesi in materia di libertà religiosa, permessi di lavoro e permessi di soggiorno. Allo stesso tempo, anche se siamo una Chiesa migrante nel deserto, siamo grati per le diverse esperienze positive ed incontri in luoghi inaspettati, nei quali abbiamo sperimentato la presenza del Signore che è con noi.
Ora Lei ascolterà alcuni testimoni che ci daranno le loro testimonianze.
Padre Santo,

La ringraziamo di cuore per essere stato con noi oggi, per aver rafforzato la fede di questi operatori pastorali e per aver acceso la fiamma del loro entusiasmo nel servire Gesù Cristo nella Chiesa cattolica nell’Arabia del Nord. Shukran!

Discorso di Sua Santità Francesco

Incontro di Preghiera con i Vescovi, i Sacerdoti, i Consacrati, i Seminaristi e gli Operatori Pastorali

Cari Vescovi, sacerdoti, consacrati e seminaristi, operatori pastorali, buongiorno! Good morning!

Sono lieto di trovarmi in mezzo a voi, in questa comunità cristiana che ben manifesta il suo volto “cattolico”, cioè universale: una Chiesa abitata da persone provenienti da molte parti del mondo, che si ritrovano insieme a confessare l’unica fede in Cristo. Mons. Hinder, che ringrazio per il suo servizio e per le sue parole, ieri ha parlato di «un piccolo gregge composto da migranti»: salutando ciascuno di voi, allora, rivolgo anche un pensiero ai vostri popoli di appartenenza, alle vostre famiglie che portate nel cuore con un po’ di nostalgia, ai vostri Paesi di origine. In particolare, vedendo presenti i fedeli del Libano, assicuro la mia preghiera e vicinanza a quell’amato Paese, così stanco, così provato, e a tutti i popoli che soffrono in Medio Oriente. È bello appartenere a una Chiesa formata da storie e volti diversi, che trovano armonia nell’unico volto di Gesù. E tale varietà – l’ho visto in questi giorni – è lo specchio di questo Paese, delle genti che lo popolano ma anche del paesaggio che lo caratterizza e che, pur dominato dal deserto, vanta una ricca e variegata presenza di piante e di esseri viventi.

Le parole di Gesù che abbiamo ascoltato parlano dell’acqua viva che sgorga dal Cristo e dai credenti (cfr Gv 7,37-39). Mi hanno fatto pensare proprio a questa terra: è vero, c’è tanto deserto, ma ci sono anche sorgenti di acqua dolce che scorrono silenziosamente nel sottosuolo, irrigandolo. È una bella immagine di quello che siete voi e soprattutto di ciò che la fede opera nella vita: in superficie emerge la nostra umanità, inaridita da tante fragilità, paure, sfide che deve affrontare, mali personali e sociali di vario genere; ma nel sottofondo dell’anima, proprio dentro, nell’intimo del cuore, scorre calma e silenziosa l’acqua dolce dello Spirito, che irriga i nostri deserti, ridona vigore a quanto rischia di seccare, lava ciò che ci abbruttisce, disseta la nostra sete di felicità. E sempre rinnova la vita. È di questa acqua viva che parla Gesù, è questa la sorgente di vita nuova che ci promette: il dono dello Spirito Santo, la presenza tenera, amorevole e rigenerante di Dio in noi.

Ci fa bene allora soffermarci sulla scena che il Vangelo descrive. Gesù si trova nel tempio di Gerusalemme, dove si sta celebrando una delle feste più importanti, durante la quale il popolo benedice il Signore per il dono della terra e dei raccolti, facendo memoria dell’Alleanza. E in quel giorno di festa si svolgeva un rito importante: il sommo sacerdote si recava alla piscina di Siloe, attingeva acqua e poi, mentre il popolo cantava ed esultava, la versava fuori dalle mura della città per indicare che da Gerusalemme sarebbe fluita una grande benedizione per tutti. Di Gerusalemme, infatti, il salmista aveva detto: «Sono in te tutte le mie sorgenti» (Sal 87,7); e il profeta Ezechiele aveva parlato di una sorgente d’acqua che, sgorgando dal tempio, avrebbe irrigato e fecondato come un fiume tutta la terra (cfr Ez 47,1-12).

Con tali premesse comprendiamo bene che cosa vuole dirci il Vangelo di Giovanni con questa scena: siamo all’ultimo giorno della festa, Gesù si erge «ritto in piedi» e ad alta voce proclama: «Chi ha sete, venga a me» (Gv 7,37), perché «fiumi di acqua viva» sgorgheranno dal suo grembo (v. 38). Che bell’invito! E l’Evangelista spiega: «Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato» (v. 39). Il richiamo è all’ora in cui Gesù muore in croce: in quel momento, non più dal tempio di pietre, ma dal costato aperto di Cristo uscirà l’acqua della vita nuova, l’acqua vivificante dello Spirito Santo, destinata a rigenerare tutta l’umanità liberandola dal peccato e dalla morte.

Fratelli e sorelle, ricordiamoci sempre questo: la Chiesa nasce lì, nasce dal costato aperto di Cristo, da un bagno di rigenerazione nello Spirito Santo (cfr Tt 3,5). Non siamo cristiani per nostro merito o solo perché aderiamo ad un credo, ma perché nel Battesimo ci è stata donata l’acqua viva dello Spirito, che ci rende figli amati di Dio e fratelli tra di noi, facendoci creature nuove. Tutto sgorga dalla grazia, – tutto è grazia! –, tutto viene dallo Spirito Santo. E, allora, permettetemi di soffermarmi brevemente con voi su tre grandi doni che lo Spirito Santo ci consegna e ci chiede di accogliere e di vivere: la gioia, l’unità e la profezia. La gioia, l’unità e la profezia.

Anzitutto lo Spirito è sorgente di gioia. L’acqua dolce che il Signore vuole far scorrere nei deserti della nostra umanità, impastata di terra e di fragilità, è la certezza di non essere mai soli nel cammino della vita. Lo Spirito è infatti Colui che non ci lascia soli, è il Consolatore; ci conforta con la sua presenza discreta e benefica, ci accompagna con amore, ci sostiene nelle lotte e nelle difficoltà, incoraggia i nostri sogni più belli e i nostri desideri più grandi, aprendoci allo stupore e alla bellezza della vita. La gioia dello Spirito, perciò, non è uno stato occasionale o un’emozione del momento; tanto meno è quella specie di «gioia consumista e individualista così presente in alcune esperienze culturali di oggi» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 128). Invece la gioia nello Spirito è quella che nasce dalla relazione con Dio, dal sapere che, pur nelle fatiche e nelle notti oscure che talvolta attraversiamo, non siamo soli, persi o sconfitti, perché Lui è con noi. E con Lui possiamo affrontare e superare tutto, persino gli abissi del dolore e della morte.

A voi, che avete scoperto questa gioia e la vivete in comunità, vorrei dire: conservatela, anzi, moltiplicatela. E sapete qual è il metodo migliore per fare questo? Donarla. Sì, è così: la gioia cristiana è contagiosa, perché il Vangelo fa uscire da sé stessi per comunicare la bellezza dell’amore di Dio. Dunque è essenziale che nelle comunità cristiane la gioia non venga meno e sia condivisa; che non ci limitiamo a ripetere gesti per abitudine, senza entusiasmo, senza creatività. Altrimenti perderemo la fede e diventeremo una comunità noiosa, e questo è brutto! È importante che, oltre alla Liturgia, in particolare alla celebrazione della Messa, fonte e culmine della vita cristiana (cfr Sacrosanctum Concilium, 10), facciamo circolare la gioia del Vangelo anche in un’azione pastorale vivace, specialmente per i giovani, per le famiglie e per le vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa. La gioia cristiana non si può tenere per sé, e quando la mettiamo in circolo, si moltiplica.

In secondo luogo, lo Spirito Santo è sorgente di unità. Quanti lo accolgonoricevono l’amore del Padre e diventano suoi figli (cfr Rm 8,15-16); e, se figli di Dio, sono anche fratelli e sorelle. Non può esserci spazio per le opere della carne, cioè dell’egoismo: per le divisioni, le liti, le maldicenze, le chiacchiere. State attenti al chiacchiericcio, per favore: le chiacchiere distruggono una comunità. Le divisioni del mondo, e anche le differenze etniche, culturali e rituali, non possono ferire o compromettere l’unità dello Spirito. Al contrario, il suo fuoco brucia i desideri mondani e accende la nostra vita di quell’amore accogliente e compassionevole con cui Gesù ci ama, perché anche noi possiamo amarci così tra di noi. Per questo, quando lo Spirito del Risorto discende sui discepoli, diventa sorgente di unità e di fratellanza contro ogni egoismo; inaugura l’unico linguaggio dell’amore, perché i diversi linguaggi umani non restino distanti e incomprensibili; abbatte le barriere della diffidenza e dell’odio, per creare spazi di accoglienza e di dialogo; libera dalla paura e infonde il coraggio di uscire incontro agli altri con la forza disarmata e disarmante della misericordia.

Questo fa lo Spirito Santo, che così modella la Chiesa fin dalle origini: a partire dalla Pentecoste, le provenienze, le sensibilità e le visioni differenti vengono armonizzate nella comunione, forgiate in un’unità che non è uniformità, è armonia, perché lo Spirito Santo è l’armonia. Se abbiamo ricevuto lo Spirito, la nostra vocazione ecclesiale è anzitutto quella di custodire l’unità e coltivare l’insieme, cioè – come dice San Paolo – «conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale [siamo] stati chiamati» (Ef 4,3-4).

Nella sua testimonianza, Chris ha detto che, quand’era molto giovane, ciò che l’aveva affascinata della Chiesa cattolica era «la comune devozione di tutti i fedeli», indipendentemente dal colore della pelle, dalla provenienza geografica, dalla lingua: tutti riuniti in una sola famiglia, tutti a cantare le lodi del Signore. Questa è la forza della comunità cristiana, la prima testimonianza che possiamo dare al mondo. Cerchiamo di essere custodi e costruttori di unità! Per essere credibili nel dialogo con gli altri, viviamo la fraternità tra di noi. Facciamolo nelle comunità, valorizzando i carismi di tutti senza mortificare nessuno; facciamolo nelle case religiose, come segni viventi di concordia e di pace; facciamolo nelle famiglie, così che il vincolo d’amore del sacramento si traduca in atteggiamenti quotidiani di servizio e di perdono; facciamolo anche nella società multireligiosa e multiculturale in cui viviamo: sempre a favore del dialogo, sempre, tessitori di comunione con i fratelli di altri credo e di altre confessioni. So che su questa strada voi offrite già un bell’esempio, ma la fraternità e la comunione sono doni che non dobbiamo stancarci di chiedere allo Spirito, per respingere le tentazioni del nemico, che sempre semina zizzania.

Infine, lo Spirito è sorgente di profezia. La storia della salvezza, come sappiamo, è costellata da numerosi profeti che Dio chiama, consacra e manda in mezzo al popolo perché parlino a suo nome. I profeti ricevono dallo Spirito Santo la luce interiore che li rende interpreti attenti della realtà, capaci di cogliere dentro le trame, a volte oscure, della storia la presenza di Dio e di indicarla al popolo. Spesso le parole dei profeti sono sferzanti: essi chiamano per nome i progetti di male che si annidano nei cuori della gente, mettono in crisi le false sicurezze umane e religiose, invitano alla conversione.

Anche noi abbiamo questa vocazione profetica: tutti i battezzati hanno ricevuto lo Spirito e tutti sono profeti. E in quanto tali non possiamo far finta di non vedere le opere del male, restare nel “quieto vivere” per non sporcarci le mani. Un cristiano prima o poi deve sporcarsi le mani per vivere la sua vita cristiana e dare testimonianza. Al contrario, abbiamo ricevuto uno Spirito di profezia per portare alla luce, con la nostra testimonianza di vita, il Vangelo. Per questo San Paolo esorta: «Desiderate intensamente i doni dello Spirito, soprattutto la profezia» (1 Cor 14,1). La profezia ci rende capaci di praticare le beatitudini evangeliche nelle situazioni di ogni giorno, cioè di edificare con ferma mitezza quel Regno di Dio nel quale l’amore, la giustizia e la pace si oppongono a ogni forma di egoismo, di violenza e di degrado. Ho apprezzato che Suor Rose abbia parlato del ministero tra le detenute, nelle carceri, è bello, questo! Una possibilità di cui essere grati. La profezia che edifica e conforta queste persone è condividere con loro il tempo, spezzare la Parola del Signore, pregare con loro. È prestare loro attenzione, perché là dove ci sono fratelli bisognosi, come i carcerati, c’è Gesù, Gesù ferito in ogni persona che soffre (cfr Mt 25,40). Sai cosa penso io, quando entro in un carcere? “Perché loro e non io?”. È la misericordia di Dio. Ma prendersi cura dei detenuti fa bene a tutti, come comunità umana, perché è da come si trattano gli ultimi che si misura la dignità e la speranza di una società.

Cari fratelli e sorelle, in questi mesi stiamo pregando tanto per la pace. In tale contesto, costituisce una speranza l’accordo che è stato firmato e che riguarda la situazione in Etiopia. Incoraggio tutti a sostenere questo impegno per una pace duratura, affinché, con l’aiuto di Dio, si continuino a percorrere le vie del dialogo e il popolo ritrovi presto una vita serena e dignitosa. E inoltre non voglio dimenticare di pregare e di dire a voi di pregare per la martoriata Ucraina, perché quella guerra finisca.

E adesso, cari fratelli e sorelle, siamo arrivati alla fine. Vorrei dirvi “grazie” per questi giorni vissuti insieme; ma non dimenticate la gioia, l’unità e la profezia, non dimenticatele! Con animo colmo di riconoscenza benedico tutti voi, specialmente quanti hanno lavorato per questo viaggio. E, visto che queste sono le ultime parole pubbliche che rivolgo, permettetemi di ringraziare Sua Maestà il Re e le Autorità di questo Paese – anche il Ministro della Giustizia, qui presente –per la squisita ospitalità. Vi incoraggio a continuare con costanza e letizia il vostro cammino spirituale ed ecclesiale. Ed ora invochiamo l'intercessione materna della Vergine Maria, che sono felice di venerare come Nostra Signora d'Arabia. Ella ci aiuti a lasciarci sempre guidare dallo Spirito Santo e ci mantenga gioiosi, uniti nell'affetto e nella preghiera. Ci conto: non dimenticatevi di pregare per me.