“Accadde un giorno che gli anziani si recassero dall’abate Abraham, il profeta della regione. Lo interrogarono sull’abate Banè, dicendo: «Ci siamo intrattenuti con abba Banè sulla clausura nella quale egli si trova adesso; ci ha detto queste gravi parole: Egli stima tutta l’ascesi e tutte le elemosine che ha fatto nel suo passato come una profanazione». E il santo vegliardo Abraham rispose loro e disse: «Ha parlato rettamente». Gli anziani si rattristarono per via della loro vita che era anch’essa a quel modo. Ma l’abate Abraham disse loro: «Perché affliggervi? Durante il tempo, in effetti, nel quale abba Banè distribuiva le elemosine, sarà arrivato a nutrire forse un villaggio, una città, una contrada. Ma ora è possibile a Banè levare le sue due mani affinché l’orzo cresca in abbondanza nel mondo intero. Gli è anche possibile, ora, chiedere a Dio di rimettere i peccati di tutta questa generazione». E gli anziani, dopo averlo udito, si rallegrarono che vi fosse un supplice che intercedeva per loro”.
Oggi allora, caro [fratello], vogliamo affidarti un compito, come un triplice incarico che mi piace riassumere in tre semplici parole: sii per noi un parafulmine, un pungolo e un profumo.
Anzitutto un parafulmine. Un parafulmine è un dispositivo che serve ad attrarre le cariche elettriche per poi poterle disperdere. Quante cariche elettriche ci sono da accogliere e disperdere anche nella nostra Diocesi! Tu puoi farlo anzitutto attraverso l’ascolto silenzioso che quieta ogni voce che non sia quella di Dio. Sii per noi uno che sa patire l’amore redentivo, uno che, come ti proponi nella tua Regola, serve la Chiesa di Roma e il suo presbiterioattraverso la riparazione e l’intercessione, la penitenza e la preghiera incessante. Unito al Cristo che ti chiama, rimanendo in Lui, sii per noi “mezzano”. Mettiti in mezzo, quasi, se fosse possibile, a ricordare a Dio la grandezza della Sua Misericordia. Quanto bisogno in questo tempo abbiamo di riparazione, una parola fuori moda, che forse dovremmo riscoprire. Fa’ tua per noi quella profonda e ardita preghiera di Santa Caterina da Siena: “Dio eterno grido dinanzi alla misericordia tua, dammi fuoco e abisso di carità; dà, Padre, agli occhi miei fonte di lacrime, con le quali io inchini la misericordia tua sul mondo e particolarmente sulla sposa tua”.
Sii poi per noi come un pungolo. Ciascuno di noi ha sempre bisogno di essere stimolato, spronato. E, di solito, quando lo è, spesso recalcitra. Grida col tuo silenzio e col tuo nascondimento, perché non ci lasciamo trasportare dalla “logica del mondo”, dalla “mondanità spirituale che è diventata un’ermeneutica di vita, un modo di vivere e spesso un modo di vivere anche il cristianesimo”, direbbe Papa Francesco. La tua chiamata a “stare in disparte” ci solleciti a guardare la realtà con gli occhi di Dio che, come ci ricorda Isaia, “non grida né urla, non fa udire in piazza la sua voce” (Is 42, 2). Barsotti diceva: “l’adesione a Cristo nell’azione apostolica non è così santa né così feconda per l’avvento del Regno come l’adesione a Lui nella passione e nella morte”. Così la tua vita si carica per noi del pungolo della profezia nel ricordarci che Dio ha scelto l’insignificanza, lo spogliamento, la povertà, l’inabissarsi nel vuoto della morte e così, non in un altro modo, ha voluto salvarci.
Sii infine per noi un profumo. Il profumo attira dolcemente, rimanda al fiore da cui promana. Sii “il buon profumo di Cristo”. Dice Sant’Agostino che gli anacoreti sono “eius pulchritudinis contemplatione beatissimi”, vivono “beatissimi”, veramente felici, nella contemplazione continua ed intensa di Cristo. La tua vita sia per tutti un richiamo alla gioia della contemplazione, vissuta nell’esercizio della fede e della speranza. Gioia che non si spegne nell’oscurità, nella certezza che è proprio allora che si aprono «infiniti occhi interiori che godono del sole notturno» (Novalis). Il profumo della contemplazione non potrà nascere che da un’anima “ben pestata” nel crogiolo della Croce su cui oggi, ancora una volta, vuoi tenere fisso lo sguardo.